Napolitano vuole una verifica

Il punto della parabola è stato già raggiunto. A sentire i finiani, le armi per ora tacciono. Sono state deposte. Si tratta. Le dichiarazioni di Fini, fatte filtrare attraverso Repubblica di ieri, hanno sortito il loro effetto. Il ragionamento del presidente della Camera era piuttosto lineare: «Ci provino pure a cacciarmi, in questa vicenda io sono piantato nella Costituzione, nella legalità, nelle linee fondanti del nostro partito e nel sentimento dei nostri elettori». E ancora: «Quando sta con i suoi - aggiunge con riferimento al Cavaliere - gente che fa sempre sì con la testa, fa propaganda, dice parole a vanvera per rassicurare i credenti che sono disorientati». «In una crisi di governo si sa come si entra, ma non come si esce», ma in caso di elezioni anticipate, spiega Fini nelle sue riflessioni, «sono sicuro» che Gianni Letta ha spiegato a Berlusconi che, in caso di rottura del Pdl, «noi non faremmo una An in sedicesimo, nascerebbe qualcosa di nuovo, c'è tanta gente alla finestra che aspetta. Siamo sicuri che gli converrebbe la nascita di un terzo polo come in Gran Bretagna?».   Sarà, quella del cofondatore del Pdl sembra una dichiarazione di guerra. Eppure tra i suoi serpeggia una certa serenità, come una certezza che in settimana arriveranno novità positive. Per esempio, gli uomini del presidente sono convinti che il disegno di legge sulle intercettazioni verrà pesantemente rivisto. Il ministro Alfano sta già scrivendo una nuova bozza, che sarà ultimata in settimana. «E verrà incontro alle nostre osservazioni, anzi andrà anche oltre», spiega un finiano di comprovata fede. Sulla Manovra pure i finiani sono convinti che ci saranno ritocchi (Berlusconi e Tremonti si vedranno oggi e miglioreranno alcuni punti), e, un primo segnale chiaro, è arrivato con lo sblocco delle tredicesime. Ma comunque ci si aspetta un generale ammorbidimento e una seppur parziale riapertura delle trattative. La settimana poi sarà aperta con un segnale distensivo che arriverà da Aldo Brancher, il neo ministro finito al centro delle polemiche per aver avanzato il legittimo impedimento a poche ore di distanza dalla sua nomina. Oggi dovrebbe annunciare che rinuncerà a quel privilegio. Resta, per i finiani, un punto ancora aperto: il congresso. Berlusconi aveva annunciato, proprio nel giorno dell'ormai famosa scazzottata verbale con Fini, che sarebbe stato convocato per fine anno.   Da quel giorno, ed era il 22 aprile, non si è saputo più nulla. Dunque, se le posizioni tendono a riavvicinarsi il vero problema - per Berlusconi - non è con Montecitorio. Anche se così appare. Il vero nodo irrisolto, lo scoglio da superare è il Colle. Con Napolitano qualcosa si è rotto, si è aperto un solco ampio. E non è un caso che dall'opposizione, uno dei pochi con il sale in zucca e soprattutto con un particolare feeling con il Quirinale come Enrico Letta, chieda: «Se la maggioranza non è in grado di governare, la palla passi al capo dello Stato, come dice la Costituzione». È un percorso che non dispiacerebbe al Colle. Ma perché tutta questa irritazione? Tutto è cominciato con un fatto che a tutti è sembrato di poco conto: l'interim allo Sviluppo economico. Napolitano si era dichiarato disponibile a concederlo al presidente del Consiglio a condizione che fosse stato breve. Si era sentito rispondere quattro o cinque giorni al massimo. Era il 4 maggio, ieri sono trascorsi esattamente due mesi. Poi c'è il caso Brancher, che al Quirinale è suonato come una vera presa in giro che ha portato Napolitano a intervenire in maniera piuttosto inusuale anticipando anche i giudici sulla possibilità del neoministro di avvalersi del legittimo impedimento. E la Manovra che rischia di colpire soprattutto il Mezzogiorno, quel Mezzogiorno che Napolitano vede chiamato alla sua ultima chance. In mezzo ci sono le intercettazioni, le proteste dei magistrati. E soprattutto le passeggiate che il presidente della Repubblica compie tra la gente nei suoi continui viaggi che lo hanno convinto sempre più di essere avvertito come «ultimo baluardo». Una fiducia di tanti occhi che ha incrociato in queste settimane, delle tante mani strette, delle tante lettere ricevute che il Capo dello Stato non intende tradire. A guardare il palazzo son dolori. Al Quirinale per esempio non è sfuggito il fatto che siano stati presentati oltre duemila emendamenti al decreto di stabilizzazione dei conti pubblici, la metà dei quali dalla maggioranza. Non sono sfuggiti anche i pesanti rilievi a tutti i provvedimenti del governo, le frasi di Fini, lo scontro Berlusconi-Tremonti, la Lega che scalpita. Insomma, sul Colle si vuole capire se una maggioranza c'è ancora. E se non c'è, Napolitano farà di tutto per cercarne una nuova prima di concedere nuove elezioni. Nel Pd solo Letta l'ha capito. E anche questo è il segno dello stato dell'opposizione.