Il Cavaliere ha i voti. Gli altri no
Giampaolo Pansa suggerisce a Silvio Berlusconi di trovarsi un successore. Gli aveva già suggerito, del resto, di ritirarsi. Mario Sechi, riflettendo criticamente su quel suggerimento, ha fatto notare, da queste colonne che le seconde file non mettono in mostra giovanotti di primo pelo: o si tratta di gente già avanti nell'età, anche se adesso ci si considera ragazzi fino a quaranta anni e giovani fino a sessanta, oppure di soggetti che navigano in politica da una tentina d’anni, che solo con molta fantasia possono essere definiti delle novità. Il suggerimento di Pansa non è umorale, ma ragionato: il governo non riesce a combinare molto, il logoramento interno alla maggioranza è già da tempo innescato, forse è meglio evitare l'agonia. L'argomentare di Sechi è inoppugnabile, certificati di nascita e curricula alla mano. Il sottoscritto, alla veneranda età di anni 51, vede le cose in modo diverso. Punto primo, l'età non c'entra niente. Uno dei più grandi, e innovatori, presidenti statunitensi, Ronald Reagan, giunse alla Casa Bianca a 70 anni, dopo lunga carriera politica, e ci rimase per 8. Punto secondo, i successori scelti sono, solitamente, dei pigmei, destinati a far rimpiangere il capostipite e capitolare in fretta. Punto terzo, la democrazia non è una monarchia: i governanti li sceglie il popolo. Punto quarto, nonché decisivo, ogni volta che si fa l'elenco di quelli che, in Italia, potrebbero autorevolmente guidare un super governo, pur assembrando tutti i diversi gusti, si ottiene un insieme umano che, se si candidasse unito alle elezioni potrebbe aspirare a qualche punto percentuale, comunque insufficiente a far anche solo l'assessore al turismo. Ciò capita perché è vero che la politica mostra un quadro umano desolante, ma questo non è altro che lo specchio di un Paese che non seleziona classe dirigente. Non la seleziona in politica, ma neanche nell'industria, nella finanza, nelle arti e nella cultura. E non la seleziona perché il nostro è divenuto un Paese di corporazioni ed egoismi, che si coalizza solo quando si tratta di umiliare il merito e fermare i più bravi. In quel caso, tutte le scuse sono buone. Per compensare questo vizio immondo si finge di ammirare l'idea di un governo dei migliori, senza spiegare dove cavolo dovremmo prenderli e senza neanche immaginare che questa brillante idea venne già a Platone, padre di non poche dittature. Le classi dirigenti, in ogni settore, si selezionano nella competizione e nel conflitto. La stessa ex (grazie al cielo) casa regnante italica è la fisica dimostrazione che le successioni dinastiche finiscono a reclamizzare cetrioli, con regale noncuranza della dignità. Il potere non si può riceverlo in dono, perché non è proprietà di chi lo detiene. Quindi, ove mai si voglia ragionare in un sistema democratico, dobbiamo spostare l'attenzione al mercato elettorale. E qui viene da piangere, perché Berlusconi detiene un sostanziale monopolio. Si vota solo su di lui: c'è chi vota a favore, attualmente la maggioranza (relativa), e c'è chi vota contro. Ma se si toglie di mezzo salta tutto: l'opposizione ancor prima della maggioranza. Chi non ha voluto prestarsi a questo gioco, del resto, se n'è rimasto solitario e cogitabondo. Perché, allora, le idee e le schiene dritte non hanno spazi elettorali? Perché il Paese è decaduto ad arena per tifoserie e ringhi contrapposti, mentre il pubblico parteggia e, contemporaneamente, s'industria a mantenere i privilegi acquisiti (piccoli o grandi che siano) e scongiurare che le cose cambino. Del resto, vale anche per il mondo di noi scribacchini. Scusate la sfrontatezza, ma credo che i giornali italiani siano poco letti anche perché sono assai poco interessanti, ricolmi o di gente che scrive per partito preso, o di altri che da una vita scrivono lo stesso articolo. Idee poche, ma moralismo a man bassa, con gli sconti di fine stagione. Coraggio in dosi omeopatiche, ma che si finge ardore, contro i perdenti. Proposte erogate a pisciolino, ma critiche con l'idrante. Poi muore uno (e me ne dispiace) che si lancia con il paracadute, essendo divenuto famoso perché il primo a far sesso in una trasmissione televisiva, e tutti a parlarne come di un'icona. Ma di che? Di quest'Italia senza qualità, in guerra per un posto al sole.