La riforma Gelmini è un progetto educativo
C’è qualcosa che proprio non va nell’intero sistema educativo italiano. E che fa sentire i suoi effetti negativi man mano che si va avanti e che si procede nel corso degli studi. Del resto, più che la scuola, i difetti del sistema educativo sono messi in luce dall’esito dei concorsi pubblici. Troppo spesso si assiste a concorsi nei quali i candidati - malgrado la votazione conseguita alla maturità o in sede di laurea - rivelano pecche profonde soprattutto per quanto riguarda la conoscenza della lingua italiana e la conoscenza delle nozioni basilari di altre materie. È proprio questa mancanza di cognizioni basilari in persone che hanno superato brillantemente gli esami di maturità e persino la tesi di laurea la vera spia della inadeguatezza del nostro sistema educativo. Le riforme che sono state impostate o varate nel corso dei decenni hanno provocato una situazione, a lungo andare, disastrosa perché sono state riforme, per così dire, "settoriali" e "corporative". Settoriali, perché sono intervenute su ordini e gradi dell’istruzione (elementare, media, superiore, universitaria) in maniera disorganica, senza pensare alla unitarietà dei percorsi formativi e quindi a un "progetto formativo" complessivo. Corporative perché sono state pensate o messe in cantiere o anche realizzate, queste riforme, rivolgendo l’occhio più ai problemi e agli interessi di certe categorie (segnatamente i docenti) che non a un preciso disegno culturale. Naturalmente, il settore nel quale i disastri sono stati maggiormente percepibili è quello universitario. Qui si è assistito alla moltiplicazione di università, corsi di laurea, cattedre, nonché alla duplicazione degli insegnamenti secondo talune logiche di natura squisitamente politica (di politica da basso impero) o secondo le pressioni di strutture e associazioni di categoria (a cominciare dalle varie società di studiosi di varie discipline per finire con le conferenze di presidi o di rettori), senza rappresentatività legale, ma elevate di fatto a interlocutori privilegiati dei governi. Tuttavia, ai disastri universitari si accompagnano quelli degli altri livelli di istruzione, dove si scontano gli errori del passato. E di una stagione che, in nome del permissivismo e della licenza più totale gabellata per manifestazione di libertà oltre che di una falsa concezione della modernità, ha preteso di rivoluzionare l’insegnamento di base. Con il risultato di una sempre peggiore conoscenza non solo della storia nazionale, ma della stessa lingua. Va dato atto, però, al ministro Maria Stella Gelmini di essere stato l’unico dei ministri che si sono succeduti sulla poltrona che oggi lei occupa ad avere colto bene il punto fondamentale della crisi del sistema educativo italiano: la necessità che le riforme non vadano avanti per compartimenti stagni, ma che interessino tutti i livelli e siano inserite in un unico progetto educativo. In particolare il suo richiamo alla necessità di intervenire a fondo sui programmi di insegnamento delle scuole secondarie, soprattutto per rafforzare la conoscenza della lingua italiana e dei rudimenti essenziali delle materie di base, è un sintomo di serietà. Ma è, anche, e soprattutto la strada giusta. Perché una riforma del sistema educativo, a tutti i livelli, non può prescindere dalla difesa della identità nazionale. Della quale la lingua, non dimentichiamolo, è un elemento essenziale.