Riecco le mani in tasca ai cittadini
L'aumento della pressione fiscale, nel mentre si vive in depressione economica, non è una bella cosa, ma neanche un dato di per sé esemplificativo di una politica. Se si riuscisse a combattere efficacemente l'evasione fiscale, ad esempio, nell'anno di riferimento aumenterebbe la pressione complessiva, con gran piacere, però, dei contribuenti onesti. Il dato riferito all'anno scorso, del resto, risente dello scudo fiscale, che è pur sempre una tassazione degli evasori. Il punto preoccupante è un altro, ovvero la mancanza di una politica e una prospettiva di restituzione. Ben venga la lotta agli evasori, ma serva non ad alimentare la spesa pubblica, in gran parte corrente e improduttiva, bensì a premiare i cittadini che hanno adempiuto ai loro doveri, facendo scendere, per loro, le tasse. Ed è questo, appunto, che non si vede. Anzi, si vedono segnali preoccupanti e che vanno in direzione opposta. A dispetto delle parole governative, e della ripetuta promessa di non mettere "la mano in tasca" ai cittadini, i presidenti delle Regioni hanno chiaramente affermato che se i tagli previsti dal decreto governativo non saranno diversamente modulati le conseguenze potranno essere due: o una diminuzione delle prestazioni o un aumento delle tasse. Preso atto che si esclude un aumento dell'efficienza e una diminuzione dei costi, ciò vuol dire che la seconda sarà la strada più a portata di mano. Il governo risponde a fasi alterne: nelle prime ore del mattino la manovra è ritenuta intoccabile, all'incedere del meriggio si annunciano disponibilità a rivederla. Considerato che si tratta di un decreto legge, quindi già in vigore, ho l'impressione che si dovrebbe parlare meno e ragionare di più, altrimenti si mancherà il principale scopo della manovra stessa: tranquillizzare i mercati e non far crescere ulteriormente il costo del debito pubblico. Detto questo, però, crediamo proprio che non poche cose debbano e siano destinate a cambiare. Restiamo nel campo del fisco: il nostro è arcigno ed esoso con chi non può sfuggire, mentre risulta guercio e inefficace con chi lo gabba, in queste condizioni non è affatto rassicurante sapere che le cartelle esattoriali saranno immediatamente o in poche settimane esecutive, perché ciò significa lasciare il cittadino privo di qualsiasi garanzia. Non è bello che, nel Paese delle cartelle pazze e degli accertamenti fiscali fatti a naso, talché solo una piccola percentuale dell'evasione presunta è poi riconosciuta tale, non è bello, dicevo, che il fisco stesso chieda al cittadino di pagare subito, per protestare poi. Sappiamo tutti che si avrà ragione dopo molto tempo, e si avranno i soldi indietro fuori tempo massimo. Con un meccanismo di questo tipo le aziende candidate al fallimento, specie se piccole, sono una moltitudine, e si rivelerà solo sadomasochismo averne agevolato la nascita. Gli italiani, inoltre, sono abbastanza ragionevoli e realisti da sapere che la promessa della diminuzione delle tasse non sarà mantenuta nei prossimi giorni, ma è da vedere se saranno abbastanza pazienti da sopportare l'aumento delle tariffe amministrate (come quelle autostradali) o il fioccare delle multe con autovelox traditore, destinate non a propiziare la sicurezza stradale, ma a rimpinguare la cassa comunale. Certo, siamo appena usciti dall'occhio del ciclone di una crisi profonda, che mette a rischio gli Stati sovrani e la loro credibilità. E c'è chi se la passa peggio di noi. È vero e sarebbe sciocco tacerlo o non tenerne conto. Ma quel che si chiede è che il governo sia capace di presentare agli italiani non solo una cura sintomatica, ma anche una terapia strutturale, che infonda fiducia nel futuro e consenta di dare un senso ai sacrifici di oggi. Il che vale specialmente per i giovani che, in massa, sono fuori dal mercato del lavoro, e per quanti sono spinti all'uscita. Si chiede, insomma, che accanto all'amministrazione ci sia anche la politica, a guidarne la mano e spiegarne efficacia ed equità.