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Il ministro parla, presenti in 12

L'aula della Camera dei deputati

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Giorgia Meloni parla e ogni tanto alza gli occhi verso i banchi dei deputati. La voce, lo sguardo, le parole, non tradiscono emozioni. Ma lo spettacolo che si para davanti al ministro della Gioventù è desolante alla Camera, ad ascoltarla, ci sono dodici parlamentari. Dodici, non uno di più. È successo lunedì pomeriggio, giorno in cui i deputati avrebbero dovuto essere in aula, convocati per la discussione generale di un disegno di legge non proprio di secondaria importanza visto che si tratta dell'istituzione di un fondo di 18 milioni da destinare alle associazioni giovanili. Invece lunedì la Camera era deserta. Vuoto il Transatlantico, vuota la bouvette, vuota soprattutto l'aula. «È normale che sia così – ammette sconsolato Marco Marsilio, deputato Pdl, uno dei dodici presenti – Il lunedì, quando c'è discussione generale con la relazione di un ministro, partecipano solo i parlamentari interessati a quel provvedimento». Per tutti gli altri, evidentemente, è vacanza. Un ritmo lontano da quello immaginato dal presidente della Camera Gianfranco Fini, il quale all'inizio della legislatura aveva assicurato che avrebbe fatto lavorare i deputati dal lunedì al venerdì. Invece sempre più spesso le sedute vengono convocate il martedì e dal giovedì pomeriggio i parlamentari sono già pronti a tornare a casa. Ritmi talmente blandi che non può stupire il fatto che per trasformare un ddl in legge serva spesso lo spazio di un'intera legislatura. Eppure una delle critiche fatte lunedì al ministro Giorgia Meloni da due esponenti del Partito Democratico, Pina Picierno e Andrea Sarubbi (e la prima non era neppure in aula durante la replica del ministro) è stata che il ddl ha avuto un iter troppo veloce. Polemica che Giorgia Meloni ha smontato illustrando proprio i tempi del percorso: «Il disegno di legge è stato licenziato dal consiglio dei ministri due anni fa. È stato 8 mesi in conferenza Stato-Regioni ed è stato dopo un anno calendarizzato alla Camera. Tutto ciò non dipende da me. Mi pare però che le commissioni abbiano svolto un lavoro, che vi sia stato il confronto e che siano state fatte delle audizioni. Non mi pare onestamente che abbiamo corso così tanto. Io sono estremamente disponibile a cercare ogni forma di dialogo. Però attenzione, con la scusa che bisogna dialogare di più, che bisogna confrontarsi e che bisogna parlarne meglio, a far slittare sempre i provvedimenti che riguardano le giovani generazioni in coda al calendario di qualunque assise politica». Ora con questi ritmi il rischio è che il disegno di legge – come è accaduto con altri ddl – ci metta quasi un anno ad arrivare al Senato. E lo stesso tempo per essere approvato anche dalla seconda Camera. Cioè a legislatura quasi finita. «Non lamentiamoci poi – ammonisce ancora Marco Marsilio – se il governo va avanti con i decreti. Cinque anni non sono un tempo accettabile per fare una legge».

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