Usa, immunità negata ai preti pedofili

La Corte Suprema degli Stati Uniti non si pronuncia sull'eventualità di considerare il Vaticano «civilmente responsabile» delle azioni dei preti pedofili. E il rischio è che la decisione della Corte, rimandata dunque ad un tribunale dell'Oregon, possa aprire la strada a un'azione legale che potrebbe teoricamente portare sul banco dei testimoni Benedetto XVI e i vertici della Santa Sede e costringere il Vaticano a risarcimenti milionari. Il caso in esame era «Anonimo contro Santa Sede». Gli abusi al centro del caso risalgono al 1965. Il sacerdote che ha commesso gli abusi, Andrew Ronan, è morto nel 1992. Il Vaticano è accusato di averlo trasferito in diverse città, nonostante ripetuti casi di molestie sessuali su minori. John V. Doe (nome che negli Usa tradizionalmente è utilizzato per definire le personalità anonime) ha denunciato di aver subito abusi negli anni '60 nella scuola cattolica che frequentava. La Santa Sede ha presentato un ricorso invocando il diritto all'immunità che spetta agli Stati sovrani, sulla base del Foreign Sovereign Immunities Act del 1976. Questo diritto, su cui si era espressa favorevolmente l'amministrazione Obama, è stato poi respinto in vari gradi di giudizio. La Corte suprema ha ora deciso in via definitiva di non fermare l'azione legale, che considera il Vaticano corresponsabile degli abusi. Ronan fu mandato a Chicago all'inizio degli anni Sessanta, dopo la sua ammissione di molestie su un minore in Irlanda, dove guidava una parrocchia. Il prelato ha poi lavorato alla St. Phillip High School nella città dell'Illinois fino al 1965, ma anche lì è stato protagonista di almeno tre atti di pedofilia. È stato infine trasferito alla St. Albert Church di Portland, nell'Oregon, dove Doe lo conobbe quando era quindicenne come «prete, tutore e consigliere spirituale». Decidendo di non pronunciarsi sulle vicende del Vaticano, la Corte Suprema rimanda tutto al tribunale dell'Oregon. Ma che il tribunale dell'Oregon si pronunci a favore della responsabilità civile del Papa è tutto da vedere. Perché la decisione della Corte si basa anche su un principio di «economicità della giustizia», spiega un internazionalista di Oltretevere: non ci si pronuncia nel caso in cui un pronunciamento è ritenuto inutile. Come inutile è ritenuto il pronunciamento su un'eventuale «processabilità» del Pontefice. Ed è questa forse la spiegazione più plausibile della scelta dei giudici della Corte Suprema statunitense, peraltro formata in maggioranza da cattolici. Anche Jeffrey Lena, il legale della Santa Sede, pur deluso per il mancato riconoscimento dell'immunità, sostiene che la decisione della Corte Suprema «non significa che eravamo in errore nell'interpretazione della legge. I giudici di Washington hanno valutato che il caso, per ora, non meritava di essere esaminato al loro livello». Secondo Lena, «la Santa Sede non paga lo stipendio del prete né la sua pensione, né esercita controllo quotidiano sul suo operato. Ronan era un prete dell'ordine dei Frati Servi di Maria. La sua stessa esistenza era sconosciuta al Vaticano fino a dopo gli eventi in questione».   In effetti, i membri di ordine religiosi sottostanno alla disciplina dei superiori dell'ordine, e non ai vescovi. Esulta invece Jeff Anderson, l'avvocato che difende John Doe: «L'azione della Corte Suprema è una coraggiosa risposta alle preghiere di migliaia di vittime delle molestie sessuali dei preti, che finalmente hanno una chance di giustizia». L'azione legale percorrerà un cammino parallelo con un'altra causa, McBryan contro Santa Sede, in cui gli avvocati che accusano il Vaticano hanno chiesto di portare il Papa alla sbarra. Anche in questo caso Lena si è opposto invocando la legge sull'immunità, e argomentando che una testimonianza del Papa in un tribunale Usa «incoraggerebbe tribunali stranieri a ordinare le deposizioni del presidente degli Stati Uniti in casi come quelli delle renditions», ovvero i trasferimenti segreti di sospetti terroristi dopo le stragi dell'11 settembre. In realtà, un processo al Papa sarebbe impossibile a livello di diritto internazionale per due motivi: il primo è che gode dell'immunità non solo come vertice della Santa Sede, ma come sovrano dello Stato della Città del Vaticano; e poi, perché si vogliono imputare a Ratzinger omissioni durante il suo periodo come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ovvero come «ministro vaticano». Ma, in base alla dottrina dell'Acton State del 1854, che prevede che nessuno possa essere imputato per un atto di Stato.