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Oggi non è possibile, ma il taglio delle tasse non resti una promessa

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Ileader dei vari Paesi europei hanno proposto manovre di lacrime e sangue: ci sono state proteste, scioperi. Nel Club Med di Spagna, Portogallo e Francia sono aumentate le tasse e i tagli sono stati dolorosi. Ma i governi hanno tenuto duro e sfidato l'impopolarità. Dentro le rigide regole dell'Europa, non c'è altra strada da seguire. In Italia invece la diga dell'esecutivo sembra non reggere. E ormai siamo alla Babele contabile. Quando Umberto Bossi dice che bisogna ascoltare le Regioni, il dado è tratto e quel che non si taglia più negli enti locali lo Stato lo preleverà sotto altra forma diretta e indiretta. Si comincia con i pedaggi autostradali e alla fine della fiera, pagheremo più tasse. In fondo, era quello che già ci prospettava la prima versione della Finanziaria. Basta leggere con pazienza le 352 pagine del provvedimento per capire che quello è il punto d'arrivo. Il 40 per cento delle misure a regime (nel 2012) è costituito da nuove entrate e il 70 per cento di queste ultime è affidato a provvedimenti anti-evasione la cui stima è aleatoria. I tagli ai costi della politica, inoltre, sono di fatto spariti, una robetta sulla quale - dopo i proclami - stendiamo un velo pietoso. Alla fine, bisogna prendere atto che il grosso dei tagli è a carico delle Regioni e dei Comuni. Per questo il leader della Lega ieri ha deciso di dare un dispiacere a Tremonti. Finché si colpisce Roma e il Mezzogiorno, tutto va bene madama la marchesa, ma appena hanno alzato la voce i presidenti delle Regioni e i sindaci dei Comuni a guida leghista, la musica padana è cambiata. Bossi fa il suo mestiere - difende il territorio dove prende i voti - solo che quel che a lui sembra essere concesso, per gli altri è un tabù. Stretto tra Berlusconi e Bossi, Tremonti deve rimediare a uno stallo che almeno in parte anche lui ha contribuito a creare. Il superministro ha una visione corretta della crisi globale cominciata nel 2008, è stato tra i primi a individuarne le cause, ha svolto un'opera eccezionale di manuntenzione del bilancio dello Stato durante la fase più acuta della crisi, ma oggi fa i conti con una classe dirigente (non solo politica) che non ha intenzione di mollare la presa sulla spesa facile e, in qualche caso, fa delle giuste rivendicazioni. Il nostro giornale ieri ha dato a caratteri cubitali un numero che i cittadini dimenticano: ogni 100 euro guadagnati, gli italiani che pagano le tasse ne versano 43,2 allo Stato. Visti i servizi che ricevono in cambio, sono troppi. Quel peso fiscale è sulle spalle di chi le tasse le paga, mentre gli evasori se la spassano. È vero che in un sistema asimmetrico come quello italiano i furboni sostengono una parte dell'economia, ma se facciamo due conticini, il peso dell'evasione rischia di schiacciare il Paese e alimentare una disparità sociale non più sostenibile. Dentro l'evasione - per esser chiari - metto dentro anche chi lavora nel pubblico e approfittando della scarsità di controlli, lascia l'ufficio all'avventura e accumula il doppio stipendio con un'altra attività. Questo andazzo ci mette di fronte alla realtà: non siamo maturi per prendere atto che l'età dell'oro è finita. Detto questo, l'Europa sta rispondendo alla crisi nella maniera più ottusa possibile. Imprigionata da una visione che pensa ai parametri, al patto di stabilità, ma rende asfittico lo sviluppo. Sui mercati finanziari nel frattempo gli speculatori si divertono a scalpare i poveracci che ancora non hanno capito la sceneggiatura di Wall Street e dintorni. Ieri le Borse sono colate a picco, pur non essendo cambiato lo scenario macroeconomico mondiale. O meglio, s'è confermata dopo il G20 l'impotenza dei governi di darsi una governance seria e varare un disincentivo a chi si comporta come una locusta. Mangeranno tutto il raccolto finché non ci sarà qualcuno che spruzza il pesticida. In questo scenario, l'Italia sta meno peggio di altri Paesi, ma i limiti che ho cercato di tracciare non le consentono di fare un salto di qualità. È un problema culturale e non è detto che il forte risparmio e la grande patrimonializzazione delle famiglie bastino a tenerci al riparo dai guai. Se questo è il quadro, dobbiamo porci qualche interrogativo sulla prospettiva politica del centrodestra: nato per ridurre la presenza dello Stato e le tasse, rischia di passare alla storia come dirigista e manovratore della leva fiscale. Francamente, non credo sia un futuro auspicabile. Al netto dello scenario globale, in Italia ci sono margini per liberalizzare, tagliare la spesa improduttiva, rilanciare lo sviluppo e arrivare alla fine della legislatura con una riforma fiscale dal volto umano. Occorre un grande coraggio. Tagliare le tasse oggi è impossibile, mettersi sulla strada per farlo domani è un dovere. Dateci un nuovo fisco per tutti. Mario Sechi

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