Capitalismo sociale solo dalla Chiesa
Il G20 si è confermato il laboratorio delle frustrazioni storiche. È saltato l'accordo sulla tassa sulle transazioni finanziarie e sarà già tanto se qualche briciola delle rendite finanziarie andrà a sostenere il consolidamento dei debiti e la ripresa dei Paesi in bancarotta. Niente di nuovo sotto il sole. A Roma si direbbe: ma di che parliamo? Ci hanno rotto l'anima a ogni piè sospinto sulla necessità impellente e imprescindibile di far pagare la crisi a chi l'aveva affettivamente prodotta. Dopodiché gli Stati hanno finanziato le banche, le quali hanno ripianato debiti, fatto cassa e negato a PMI e cittadini in sofferenza selle rate del mutuo, ad esempio, ogni aiuto. Stavolta hanno usato il solito modello «Basilea», che vuol dire: ho i soldi, ma non te li posso dare, perché potresti - al condizionale, ma per loro è verità calata dall'alto - essere in sofferenza. E così, fuori le PMI. Con i privati cittadini è ancora più facile. Si spara sulla Croce Rossa. Insomma, chi ha fregato gli Stati e si è intascato soldi strizzando la finanza internazionale come un limone di Acireale l'ha sfangata e continua a sfangarla. Piuttosto bene. Anzi, Madoff, in carcere si diverte e racconta ai compagni di cella anche certi particolari non emersi in quello che avrebbe dovuto rappresentare il processo-modello del XXI° secolo. La crociata contro le banche e contro i grandi centri finanziari. Balle. Gli Stati hanno pagato perché il teorema era «certi istituti di credito non possono fallire», i contribuenti hanno salvato le stesse banche che gli dicono niet agli sportelli e il signoraggio finanziario sta annientando anche l'idea di un decente capitalismo finanziario. Perché è il corporativismo delle banche più l'assistenzialismo di Stato. Meglio della NEP di Lenin e della formula Soviet più elettrificazione. Non solo. A livello politico - in questo imbarazzante vuoto di idee e leader che stiamo subendo, direi, da anni a questa parte - era uscita fuori la trovata dell'anno: l'economia sociale di mercato. Con fonti anche un po' stiracchiate, a dire il vero, si andava da Sturzo, che c'entra poco, a Röpke, economista cristiano liberale, che c'entra di più. Tremonti ha rilanciato il paradigma nella ormai celebre lectio magistralis alla Cattolica di Milano. Bene. Ma, all'atto pratico, quando si vuole saggiare la forza cogente e stringente della teoria che diventa modello di intervento, dobbiamo sempre interpellare la Chiesa. Gli altri sono secondo file che scopiazzano e neanche troppo bene. Solo la Chiesa fa cose vere, fa carità vera, ha uno sguardo basato sulla ragione allargata di cui parla da anni Benedetto XVI. Solo la Chiesa ha le Suore di Madre Teresa di Calcutta, con le quali chi scrive ha collaborato per qualche tempo anni fa, e che ti fanno vedere cosa significhi l'amore come leva per aiutare il prossimo, a costi bassissimi per la collettività e con un ritorno sociale gigantesco. Il tutto mettendoci la faccia e rischiando di persona. La vita, intendo, non l'indennità di gabinetto, tanto per intenderci. Qui dobbiamo riproporre la verità di sempre, che questo giornale non teme di riaffermare, in quanto fondamento di ogni laicità: Gesù Cristo ha cambiato la storia e cambia il presente. Fornisce a chiunque voglia seguirLo e ad ogni uomo di buona volontà un significato più alto e un orizzonte di azione inimmaginabili. Non censurabile, né sottoponibile a vincoli di potenti cosiddetti della terra e corporazioni, che più inefficienti non potrebbero essere. Un mix di pragmatismo con significati trascendenti e carità con dimensioni storiche e immanenti. Ecco l'avvenimento del cristianesimo, e di questa forza si avvale la Chiesa. Il suo protagonismo coglie i bisogni concreti, immedesimandosi senza analisi di think-tank lautamente prezzolati. Il cristiano non fa analisi, condivide. Un bel mondo di protagonisti veri. Senza colletti ingessati e con tanta voglia di piegarsi sui bisogni dell'uomo. Funziona, ve lo assicuro. Da più di duemila anni a questa parte.