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Brancher rinuncia all'impedimento

Aldo Brancher

"Ma sono sereno e non mi dimetto"

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Aldo Brancher non si avvarrà del legittimo impedimento. A comunicarlo sono i suoi avvocati ma sembra che, a convincere il ministro a tornare sui suoi passi, sia stato un delicato lavoro di mediazione dei presidenti del Pdl di Camera e Senato Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto. Un lavoro logicamente condotto in sintonia con il presidente del Consiglio Berlusconi che, nonostante fosse a Toronto e dichiarasse di non voler commentare la vicenda, in realtà stava lavorando per evitare che ulteriori polemiche colpissero il governo e il suo ministro. E così, mentre i legali di Brancher in una nota precisavano che il ministro aveva deciso «di acconsentire lo svolgimento dell'udienza del 5 luglio e che chiederà alla corte di calibrare il programma delle udienze rispetto agli impegni del dicastero e a quelli parlamentari», Gasparri commentava positivamente la decisione del collega di partito: «Voglio ringraziare Aldo Brancher per il senso di responsabilità dimostrato smontando con il suo gesto una strumentalizzazione politica. Sono certo che darà da ministro un prezioso contributo alle riforme di cui l'Italia ha bisogno». Una strumentalizzazione politica che ha visto l'opposizione e soprattutto l'Idv inforcare i fucili ma che ha anche messo in rilievo le riserve dei supporter del presidente della Camera. Sembra infatti che la decisione di rifiutare il legittimo impedimento sia scaturita anche dopo le dure parole del finiano Italo Bocchino sul sito di Generazione Italia: «Sarebbe opportuno che Berlusconi intervenisse presto con l'unica soluzione possibile, quella di invitare Brancher ad andare immediatamente dinanzi al giudice rinunciando al legittimo impedimento». Un consiglio che, per l'appunto, sembrava molto un avvertimento e sul quale Bocchino ha continuato: «La vicenda Brancher rischia di mettere in difficoltà Berlusconi in una partita complessa qual è quella sulla giustizia». Infatti, per l'ex vicecapogruppo alla Camera del Pdl l'errore del neoministro avrebbe potuto rischiare «di affossare una buona legge che serviva a tutelare Berlusconi da un evidente accanimento. Rischia di affossarla prima agli occhi dell'opinione pubblica, compresa quella di centrodestra e della Lega, e poi dinnanzi alla Corte Costituzionale. In tal caso - continua Bocchino - Berlusconi si troverebbe senza scudo, peraltro con un Parlamento in difficoltà sia sul Lodo Alfano costituzionale sia sulle intercettazioni». Ora però, il vero spettro che incombe sulla testa di Brancher è l'annunciata mozione di sfiducia individuale che l'Idv presenterà già domani sperando che, come riporta una nota dei presidenti dei gruppi dipietristi alla Camera e al Senato, Massimo Donadi e Felice Belisario, «non solo le opposizioni, ma tutti i parlamentari liberi e di buona volontà» si mostrino uniti e compatti dietro un'unica mozione di sfiducia». Una mossa strategica che, se veramente arrivasse a Montecitorio, non solo rallenterebbe i lavori dell'aula già molto impegnata a discutere di Manovra e intercettazioni, ma, con l'obbligo del voto segreto, potrebbe mettere in difficoltà alcuni leghisti e più di qualche finiano. E dalla Lega ieri sono arrivati i commenti del ministro Calderoli e del capogruppo della Camera Reguzzoni. Così se il primo ha ribadito di non essersi pentito di aver accompagnato Brancher al giuramento al Quirinale, Reguzzoni ha aggiunto: «La vicenda è sicuramente un po' pasticciata ma non modifica minimamente il saldo rapporto fra Bossi e Berlusconi». Chi invece non è andato per il sottile è stato Bossi che durante un comizio a Magenta in provincia di Milano è tornato ad attaccare il presidente della Camera: «Fini è morto da solo, lascialo perdere - dice ad un militante - È un alleato di Berlusconi che possiamo fare? C'è sempre qualcuno che rompe... ma noi andiamo avanti. Se uno attacca tutti i giorni un suo alleato prende pochi voti... Noi dobbiamo fare lui può criticare».

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