Le Regioni pensino ai loro conti

I governatori delle regioni in rivolta contro la manovra, e che minacciano di “rimettere allo Stato” una serie di poteri – ma non quello sulla sanità – hanno le loro buone ragioni; prima fra tutte il fatto che la mannaia di Giulio Tremonti colpirebbe indiscriminatamente chi ha i conti in ordine e chi no. Ma a rigor di logica questo principio riguarda tutti i bersagli dell’austerity governativa, a cominciare dal pubblico impiego: anche in questo caso si punisce chi fa il proprio dovere ed il lavativo. Nell’Europa oppressa dai debiti pubblici, e in preda al timore di qualche altro fallimento e scheletro nell’armadio, non c’è per il momento spazio per diverse exit strategy. E questo lo sanno benissimo tanto i governatori appena insediati dal centrodestra, quanto quelli più navigati come Roberto Formigoni, quanto infine i presidenti della sinistra: basta che guardino qualche tg. L’Italia non è un’isola remota e felice dei Mari del Sud. Ciò che gli amministratori delle regioni dovrebbero fare, per essere davvero convincenti non solo con il governo ma con i loro amministrati, è un serio esame dei cassetti, e delle carte e dei fondi che vi giacciono sepolti da chissà che cosa. Magari dalla politica. Scoprirebbero per esempio due dossier che la Ragioneria dello Stato ha inviato loro a fine maggio scorso sull’utilizzo dei fondi europei. E due altri fascicoli sulla sanità: uno della Guardia di Finanza per la Corte dei conti centrato sulla spesa per farmaci; l’altro elaborato da tecnici vicini al Pd (quindi in particolare il presidente emiliano Vasco Errani dovrebbe averlo letto con cura) sull’applicazione alla sanità dei costi standard.   I dossier della Ragioneria sono entrambi di 12 pagine, a cura dell’Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l’Unione europea. Il primo ha per titolo “Monitoraggio interventi comunitari 2007/2015 - Obiettivo Convergenza”, e fotografa al 28 febbraio 2010 l’utilizzo dei fondi comunitari Fse e Fesr destinati a regioni il cui Pil procapite sia inferiore al 75 per cento della media Ue. In Italia ne hanno diritto Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, mentre la Basilicata è in “phasing out”, in uscita. Il secondo dossier riguarda l’Obiettivo Competitività, egualmente finanziato dall’Europa ma esteso a tutte le regioni italiane, ricche e povere. Rispetto ad un’altra sigla molto gettonata, i Fas, la differenza sta nel fatto che questi ultimi sono fondi nazionali destinati alle aree sottosviluppate, gli altri due sono invece finanziamenti comunitari integrati da stanziamenti del governo. Che però si perdono se non si utilizzano. Qual è la situazione che emerge dai documenti della Ragioneria? L’Obiettivo convergenza ha una dote di 42,6 miliardi, 22 dei quali confinanziati dallo Stato. Non bruscolini, insomma. Esattamente a metà strada del progetto, le cinque regioni del Sud ne hanno impegnato il 14,7 per cento e spesi il 6,5. Osserva la Ragioneria: “L’asse – cioè il programma - che presenta la migliore performance è quella relativa al Capitale umano con percentuali del 15,65 dei pagamenti e del 29,08 degli impegni”.   Si tratta in pratica di spese per il personale. Ancora: “Sui due assi Adattabilità e Occupabilità incide in buona misura l’accordo del 12 febbraio 2009”: cioè l’utilizzo (previsto dall’Europa) in funzione anticrisi e per la cassa integrazione. Nonostante questo la somma dei due “assi” è del 13,7 per cento per le cifre impegnate, e del 4,6 per quelle spese. Un programma è ancora completamente a zero: quello per valorizzare i beni culturali, naturali e turistici, nonostante la dotazione di oltre un miliardo. Un altro destinato alle tanto evocate energie rinnovabili (1,6 miliardi) è finora sfruttato solo per il 6 per cento. Quanto allo sforzo complessivo delle singole regioni, si va dal 3,8 per cento di fondi spesi della Campania al 15,13 della Basilicata. E veniamo all’altro dossier, quello sui fondi destinati a finanziare la Competitività. Altra parola magica. La dotazione è di 15,8 miliardi, 9,4 dei quali a carico dello Stato. Risultati: impegni pari al 24 per cento, spese pari all’11,7. Anche in questo caso i capitoli Occupabilità, Capitale umano e Adattabilità sono quelli con performance migliori, e sempre a causa, rileva la Ragioneria, delle misure straordinarie del 2009. Le regioni che più si sono date da fare sono Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna e Veneto, con impegni superiori al 40 per cento. All’estremo opposto le Marche (10,4 di fondi impegnati, 7,9 spesi) e L’Abruzzo, considerato “caso a sé” causa terremoto. Ma le vere performance negative sono di Lombardia e Lazio: la prima ha speso il 6,6 per cento dei fondi, la seconda il 7,7. Quanto ai documenti sulla sanità, il primo è un’indagine su 165 Asl condotta dalla Guardia di Finanza per la Corte dei conti. Riguarda la distribuzione diretta fino al 2009 di medicinali da parte delle regioni (un obbligo di legge) anziché il rimborso a piè di lista a farmacie e strutture convenzionate. Il mancato risparmio è stato di 1,5 miliardi, con punte di nuovo in Lombardia (0,376 miliardi), Lazio (0,3) e Sicilia (0,2).   La Finanza ha segnalato per danno erariale alla corte dei Conti 225 amministratori, di cui 37 nel Lazio. L’altro dossier riguarda i risparmi ottenibili attraverso il meccanismo dei costi standard delle prestazioni. Cioè calcolati sul benchmark delle regioni più, sostituendo il criterio della spesa storica. I tre esperti di area Pd - Giampaolo Arachi, Vittorio Malpelli e Alberto Zanardi – quantificano i risparmi ottenibili tra 2,5 e 5,2 miliardi a seconda che si applichino solo alle terapie o anche a farmaci e ricoveri. Le spese in più sono sempre appannaggio di Lazio (1,4 miliardi), Campania (0,9), Sicilia (0,6) ma anche Lombardia (0,66). Domanda: oltre a protestare, gli amministratori regionali potrebbero dar conto di questi dati? Ragionarci un po’ su? O magari riflettere sul fresco precedente del Comune di Roma, dove la Corte dei Conti ha documentato che l’imponente debito del Campidoglio – 12,4 miliardi fino ad aprile 2008 – non si è creato dal nulla o per malvagità dei vari governi di destra o di sinistra, ma per colpe della giunta Veltroni. “Pianificazione priva di valutazioni di attendibilità dell’entrata e congruità della spesa”, “revisione interna inadeguata”, “gestione finanziaria che ha generato flussi di cassa negativi”: queste le parole dei magistrati contabili, che non sono di sicuro una cricca berlusconiana. Insomma: la responsabilità ha sempre un nome e cognome. Noi ricordiamo un Veltroni che contro i tagli di una delle varie finanziarie minacciava di dover spegnere i lampioni pubblici, eliminare linee di autobus e chiudere asili. Era lo stesso Veltroni di cui parla la Corte dei Conti? Non vorremmo, tra un po’, scoprire qualcuno di coloro che oggi vanno in piazza chiamato a rispondere per come sono stati spesi, o anche non spesi, i denari dei contribuenti.