La Fiat di chi lavora: "Dateci la Panda"
La storia si ripete. Non uguale ma molto simile a qull'ormai lontano 14 ottobre del 1980, quando scesero in piazza i colletti bianchi della Fiat per dire basta alle pregiudiziali ideologiche del sindacato. Fu la marcia dei 40 mila quadri del Lingotto e fu lo snodo e il punto di rottura nella storia delle lotte sindacali in Italia per i decenni che seguirono. Ieri è andato in scena lo stesso copione davanti allo stabilimento di Pomigliano d'Arco che martedì prossimo dovrà decidere il suo destino: accettare le nuove condizioni offerte da Torino, e sottoscritte da Cisl, Uil e Ugl, o appoggiare le rivendicazioni radicali della Fiom Cgil che considera i punti dell'intesa una violazione della legge e della Costituzione. In piazza questa volta, a trenta anni di distanza. sono scesi gli operai. Quelli che vogliono solo lavorare. E che per l'intransigenza della Fiom, vedono a rischio il loro futuro, il loro lavoro e la stessa sopravvivenza. Si sono dati appuntamenti con il passa parola, smentendo le illazioni di chi parlava di pressioni da parte dei capireparto ad aderire alla protesta. In tutto cinque mila persone hanno preso le fiaccole, si sono messe in corteo e hanno lanciato un slogan che vale più di mille rivendicazioni: «Marchionne dacci la Panda». Un inno al pragmatismo che stride contro l'ideologia vetero marxista della garanzia a ogni costo. Non sono mancati comunque i momenti di tensione. Una decina di militanti hanno manifestato da un ponte che sovrasta la strada dove stavano sfilando i dipendenti Fiat. I contromanifestanti hanno issato bandiere rosse e uno striscione con la scritta «Servi del padrone, no al piano Marchionne». Pugni chiusi al cielo gli operai hanno risposto con l'urlo «lavoro, lavoro, lavoro». Solo tensioni. Nessuno scontro fisico. Anche se dove non sono riusciti i Cobas è però riuscita la pioggia. La fiaccolata è stata interrotta da un improvviso temporale che ha sorpreso gli operai in piazza municipio, davanti al Comune. Resta il segno della manifestazione. In pochi pensano che la porta chiusa dalla Fiom a qualunque accordo possa sfamare le famiglie. Eppure il segretario generale, Maurizio Landini, ha ribadito che la Fiom non firmerà comunque, «per la semplice ragione che è un referendum illegittimo». Di «referendum farsa» parla anche il presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. Alla Fiom e alla Cgil le parole di Marchionne (che venerdì scorso ha sfogato la sua ira spiegando come le assenza per malattia sono aumentate nel giorno della partita della Nazionale) non sono piaciute proprio. «L'assenteismo è un fenomeno sbagliato, va colpito, il sindacato non l'ha mai difeso. Marchionne deve trattare con rispetto lo sciopero dei lavoratori perché difendono uno stabilimento che aveva deciso di chiudere, e rispettarne i diritti di sciopero», dice la vice segretario della Cgil, Susanna Camusso che invita tutti «a fare un passo indietro». Giorgio Cremaschi accusa Marchionne di «ottusità». La parola definitiva passa ai lavoratori. L'ultima parola la si scrive martedì. Gli operai chiedono solo lavoro.