Ecco come il Pd ha creato il grande buco di Roma
Spese autorizzate senza soldi in cassa. Entrate sovrastimate e incerte (come gli incassi delle multe dei romani) e l'utilizzo di risorse, stanziate per gli investimenti, per pagare la gestione corrente. Comincia così la storia di un buco. Quello del bilancio del Comune di Roma, nella gestione che va dal 2004 al 2007, firmato da Walter Veltroni. Una voragine ormai conosciuta nella sua entità ma del quale, grazie alla Corte dei Conti che ha passato al setaccio le carte, oggi sono note anche le cause. E cioè tutta una serie di comportamenti contrari all'ortodossia delle leggi della contabilità che hanno compromesso la stabilità del bilancio. Ecco cosa hanno messo in evidenza i giudici. L'avanzo di amministrazione Il Campidoglio ha fatto «costantemente ricorso fin dalle previsioni iniziali all'iscrizione in bilancio di quote di avanzo di amministrazione proveniente da esercizi pregressi» spiegano i togati. Una procedura contabile che si scontra con le norme del Testo Unico degli enti locali che consente sì di usare quote di risparmi degli esercizi precedenti. Non in fase di previsione, però. Ma solo nel corso dell'esercizio. Quando questo sia effettivamente evidenziato. È la prudenza a ispirare la norma, puntualmente tradita. Fondi in conto capitale per le spese correnti È una delle leggi della tenuta della contabilità pubblica. E cioè gli stanziamenti in conto capitale, quelle risorse che servono per investimenti non possono finanziare le spese correnti. I soldi per costruire un ponte o un strada, insomma, non possono essere utilizzati per pagare gli stipendi ai dipendenti dell'ente locale. Tranne casi eccezionali autorizzati con una specifica legge. Una disposizione puntualmente aggirata dalla giunta gestita da Veltroni. Soprattutto in alcuni casi. Cimiteri È uno degli esempi più lampanti di comportamenti non rispettosi della corretta gestione finanziaria. La Corte ha, infatti, rilevato che i proventi per affittare uno spazio al cimitero utilizzato da chi passa a miglior vita sono stati contabilizzati in un particolare titolo del bilancio. E assimilati di fatto a entrate come oneri di urbanizzazione che si possono spendere per pagare la spesa corrente in ragione del 60% di quanto iscritto in bilancio. Una prassi che non trova riscontro in nessun manuale. Né nelle regole del sistema informativo né nei principi contabili. Una pratica sbagliata (le entrate pluriennali vanno computate ogni anno per una quota uguale) e che se rimpolpa il bilancio il primo esercizio lo depaupera progressivamente negli anni. Non solo. I proventi delle concessioni sono state girati integralmente a una società partecipata dal Comune che li ha gestiti senza specificare quale parte sia andata alla manutenzione ordinaria e quale alla straordinaria. «Non sono noti i criteri con cui la società gerente distingue i due budget in argomento». Insomma la Corte considera che il bilancio della società non sia ispirato alla trasparenza richiesta dalla legge. Multe ed evasione A pesare sugli equilibri economici, e a generare parte del buco, anche l'iscrizione nel bilancio di previsione di incassi considerati di facile riscossione ma in realtà legati a eventi di natura incerta e non ciclici. È il caso dei proventi delle multe e il recupero dell'evasione tributaria. Troppo facile insomma scrivere tra le entrate un determinato quantitativo di denaro derivante da incassi generati da automobilisti indisciplinati. Prima si incassa poi si spende è il principio. Non seguito dai politici comunali. Sono i magistrati a ricordare che queste «entrate dovrebbero finanziare spese solo in caso di realizzo o comunque rinviabili a esercizi successivi senza compromissione del regolare funzionamento dell'ente». Non osservare questa regola espone il bilancio a rischi di squilibrio in corso di gestione. Crediti La Corte mette nel mirino anche le entrate relative a prestiti concessi alle società partecipate con obbligo di restituzione. Tenere conto di queste poste per portare l'equilibrio nel bilancio ha introdotto altri elementi di incertezza. Si tratta certo di soldi che devono rientrare. E questo è pacifico. Dunque vanno considerate come tali. Solo che il loro effettivo incasso è condizionata dall'assetto dei rapporti economici con i soggetti beneficiari delle anticipazioni nonché dalla effettiva capacità di questi di disporre di introiti da destinare allo scopo. Anche qui insomma entrate aleatorie e incerte nel tempo. Spese fuori bilancio Secondo la Corte dei Conti fino al 28 aprile 2008 ci sono 829 milioni di euro di fatture per acquisto di beni e servizi non contabilizzate. Una somma parziale che non comprende le sentenze esecutive. Il faro dei togati sulle scritture contabili ha messo in evidenza che negli esercizi antecedenti al 2008 sono state contratte obbligazioni senza copertura, senza cioè verificare l'effettiva possibilità finanziaria, e senza annotazioni di impegno. Un'inosservanza totale della procedure contabili che deriva dalla mancanza di un meccanismo di numerazione delle fatture e dalla mancanza di adeguati meccanismi di controllo. Residui attivi La Corte dei Conti ha infine tenuto conto dei ricalcoli dei residui attivi, e ha riscritto, riconteggiando, la storia contabile del quadriennio: nel 2004 a fronte di un risultato di amministrazione di 1.014.094,288 euro, il risultato ricalcolato è di 507.258,730 euro. Più stretta la forbice relativa al 2005 e al 2006 ma è nel 2007 che la differenza si impenna: a fronte di 427.769,119 euro di risultato di amministrazione, il ricalcolato è di -712.503,029.