Se Fini diventa la sponda della sinistra
Al di là del giudizio sul contenuto del disegno di legge riguardante le intercettazioni, che può piacere o no, c’è una questione di metodo che non convince nella posizione critica assunta da Gianfranco Fini e dai suoi uomini. Colpisce, in particolare, la simmetria tra le proteste o minacce del principale partito d’opposizione e gli umori del presidente della Camera. Che non può certamente essere, per carità, un docile strumento della maggioranza, ma neppure una sponda dell’opposizione puntuale come un buon orologio. È bastato, per esempio, che il segretario del Pd Pierluigi Bersani si lamentasse del sì dei finiani al testo votato al Senato perché i vari Bocchino e Granata si affrettassero ad annunciare, cioè a garantire, il loro perdurante dissenso e a sostenere la necessità di porvi mano alla Camera. Dove il provvedimento è tornato dopo le modifiche apportate dai senatori al testo licenziato l’anno scorso dai deputati. Di suo, Fini si è lasciata attribuire dal Corriere della Sera, senza uno straccio di smentita, l’accusa alla maggioranza di essersi "fatta del male da sola". È inoltre bastato che il capogruppo del Pd a Montecitorio Dario Franceschini diffidasse il governo da ogni tentativo di far cominciare prima di settembre alla Camera l’esame del testo appena approvato al Senato, per non parlare dello scenario da "guerra del Vietnam" minacciato dal vice segretario del partito Enrico Letta, che pure passa per un moderato, perché Fini in persona si chiedesse pubblicamente che fretta ci fosse. E tenesse a precisare che, trattandosi di un disegno di legge, la nuova disciplina delle intercettazioni dovrà cedere il passo al decreto legge contenente la manovra economica. Il cui esame però è appena cominciato in commissione al Senato, per cui sarà ben difficile vederne l’approdo a Montecitorio prima di metà luglio. Se veramente servisse a rasserenare gli animi e a rendere "più condiviso" il risultato finale, come si dice in questi casi, si potrebbe anche capire un tentativo di diluire i tempi della nuova legge sulle intercettazioni, che le Camere si palleggiano da due anni. Ai quali ne vanno aggiunti altri due persi nella precedente legislatura con un provvedimento analogo proposto dall’allora guardasigilli Clemente Mastella, approvato quasi all’unanimità dai deputati ma ghigliottinato dalle elezioni anticipate del 2008. Il fatto è che il tentativo più o meno dichiarato di gran parte delle opposizioni non è di migliorare dal loro punto di vista la legge, ma semplicemente di boicottarla: prima ritardandone l’approvazione, poi mettendo in croce il presidente della Repubblica per un rinvio del testo alle Camere e una nuova deliberazione, infine aspettandosi dalla solita magistratura politicizzata, e già all’erta, l’altrettanto solito ricorso ad una Corte Costituzionale sensibilissima a certe attese. Tanto vale allora affrettare, non ritardare i tempi di questa sceneggiata perché gli elettori possano più rapidamente capire e regolarsi al momento giusto.