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Prodi-Bp, passo breve tra politica e business

Romano Prodi

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Parliamo di conflitti d'interesse. Non quello noto e conclamato di Silvio Berlusconi. Sul quale, per inciso, la nostra personale opinione è che il Cavaliere non abbia vinto «grazie alle televisioni» ma per le sue capacità di raccogliere voti; quanto alle accuse che abbia costretto in schiavitù l'informazione italiana, pensiamo che non vi siano molti paesi nei quali giornali e tv pubblica facciano così liberamente e felicemente il tiro a segno sul capo del governo. Ciò di cui vorremmo parlare sono i conflitti d'interesse che sfiorano la sinistra. Dopo il disastro ambientale nel Golfo del Messico è emersa, assieme alla chiazza di greggio, la notizia che Romano Prodi è nell'advisory board della British Petroleum. Superconsulenti ingaggiati, come fanno spesso questi grandi gruppi con ex leader politici, per utilizzarne le competenze e soprattutto le conoscenze. Qualche quotidiano ci ha ricamato su ed è stato ieri prontamente querelato, forse nel quadro della campagna anti-bavaglio. Sporta la querela, i collaboratori del Professore hanno precisato che Prodi «è stato chiamato nell'advisory board di Bp da oltre un anno», che il suo ruolo è «per i temi di strategia internazionale e industriale», e che all'organismo «non compete la questione della marea nera». Anzi: «I membri del board si sono incontrati solo due volte e mai sono stati chiamati a parlare del Golfo del Messico». Non ne dubitiamo, ci mancava solo che Prodi fosse in qualche modo responsabile dei pellicani morti in Louisiana. Quello che però incuriosisce, e forse sconcerta, è la facilità di entrata e uscita del fondatore dell'Ulivo dal business alla politica e viceversa. Prodi, per vari mandati presidente dell'Iri e proprietario di Nomisma (consulenze e ricerche), lasciò per l'ultima volta la holding di via Veneto nel '94; nel '96 sconfisse Berlusconi per il governo del Paese. Da palazzo Chigi gestì privatizzazioni e dismissioni di settori dei quali fino a poco prima era il terminale pubblico. Tra questi la telefonia con il famoso metodo del «nocciolino», un'operazione non particolarmente brillante. Nel 1999 Prodi venne nominato alla Commissione europea. Nel frattempo era stato consulente della Goldman Sachs, la più grande banca d'affari del mondo. Nulla di scandaloso: quel ruolo lo hanno svolto in Italia personalità come Mario Monti e Gianni Letta, mentre Mario Draghi ne è stato vicepresidente e managing director per l'Europa. Il fatto è, però, che questi incarichi sono sempre stati noti e annunciati; nel caso di Prodi invece a rivelarli fu un'inchiesta del 2007 del quotidiano inglese Daily Telegraph. Il quale spiegò che il Professore, attraverso Nomisma, lavorò per la Goldman Sachs dal 1990 al 1993, e poi ancora nel 1997, tra palazzo Chigi e Bruxelles. Un'altra consulenza, secondo il Daily Telegraph, ci sarebbe stata con il colosso alimentare Unilever. Abbiamo già detto di come le corporation vivano in simbiosi con la politica. La stessa Goldman ha fornito al Tesoro americano due suoi top manager: Robert Rubin, democratico, con Bill Clinton, e Henry Paulson, repubblicano con George W. Bush. E' altrettanto noto, però, che prima di entrare in carica ogni ministro Usa si sottopone ad un duro check up da parte del Congresso nel quale deve dire sotto giuramento tutto ciò che ha fatto e per chi ha lavorato. Mentre a fine mandato la sua attività pubblica viene riletta alla luce di quella privata, come è accaduto proprio con le banche d'affari dopo gli scandali del 2008-2009. Anche in Europa lo stesso Draghi trova nel periodo da dirigente della Goldman il più serio intralcio alla candidatura alla presidenza della Bce. Ma appunto stiamo parlando di carriere note a tutti. Al contrario, sui siti ufficiali di Romano Prodi fino a qualche giorno fa della consulenza per la Bp non vi era traccia. Così come nulla veniva detto a suo tempo dei rapporti con la Goldman Sachs. Mentre quando il Professore nel 2008 ha rifiutato l'offerta di presidenza del gasdotto South Stream propostagli dalla Gazprom, la notizia venne ampiamente pubblicizzata dal suo entourage, rimarcando che l'ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder aveva invece accettato di «promuovere» il gasdotto North Stream (e poi l'ex ministro degli Esteri Joschka Fischer ha fatto lo stesso con Nabucco, il terzo gasdotto). Dov'è dunque il problema? Secondo noi ce ne sono almeno tre. Primo: questi incarichi o si assumono a mandato politico definitivamente chiuso, o viceversa vanno sempre resi pubblici. Secondo: nel caso di Prodi sarebbe stata preferibile una maggiore trasparenza. Apprendere le cose dai giornali, in modo casuale e contorto, non è il massimo. Terzo: quando si parla di banche e petrolio si parla dei settori più strategici del mondo. Non a caso le crisi planetarie vengono da lì. Eppure la commistione tra business e politica (comprese le famose dichiarazioni di voto dei banchieri ulivisti) prosegue, a dispetto di tutto. Infine, se il Professore ce la passa, un modesto consiglio: dopo gli scandali di Wall Street e la marea nera, Prodi si scelga un settore più tranquillo. Oppure faccia in modo che i suoi preziosi consigli vengano ascoltati.

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