Lezioni del passato Errori del presente

«Quello che non accettiamo è che la nostra esperienza complessiva sia bollata con un marchio d’infamia in questa sorta di cattivo seguito di una campagna elettorale esasperata. Intorno al rifiuto dell’accusa che, in noi, tutti e tutto sia da condannare, noi facciamo quadrato davvero. Non so quanti siano a perseguire questo disegno politico, ma è questa, bisogna dirlo francamente, una prospettiva contraddittoria con una linea di collaborazione democratica. A chiunque voglia travolgere globalmente la nostra esperienza; a chiunque voglia fare un processo, morale e politico, da celebrare, come si è detto cinicamente, nelle piazze, noi rispondiamo con la più ferma reazione e con l’appello all’opinione pubblica che non ha riconosciuto in noi una colpa storica e non ha voluto che la nostra forza fosse diminuita». È il 1978, è l’ultimo discorso di Aldo Moro in Parlamento. Lo statista democristiano difende l’onorevole Luigi Gui accusato di essere partecipe e beneficiario di illeciti quando era ministro della Difesa. Sono trascorsi 32 anni e l’Italia sembra lo stesso Paese, intento a commettere gli stessi errori, a sacrificare i suoi uomini sull’altare di una lotta politica sempre più barbara e feroce senza alcun disegno per l’avvenire ma con la cruda prospettiva che il nemico va fatto fuori. Leggevo «L’affaire Moro» di Leonardo Sciascia e questo passaggio sul segretario dc mi ha colpito. Pochi minuti prima stavo dando un’occhiata alle notizie d’agenzia e in particolare a quel che Berlusconi aveva detto a proposito della magistratura e della lotta politica nel nostro Paese. Forse tutto non torna, ma qualcosa ritorna. So bene che anche il presidente del consiglio, ogni tanto, ci mette del suo per incendiare il dibattito, ma se ripassiamo con un minimo di razionalità e realismo gli ultimi sedici anni della nostra storia, sfido chiunque a stare al posto di Berlusconi e mantenere sempre e comunque i nervi saldi. Missione impossibile. Quando il premier sostiene che una parte della magistratura è politicizzata, dice la verità. Quando afferma che vogliono sovvertire il voto, racconta un’altra verità. Quando dice che i giudici politicizzati sono un’anomalia grave ma non vanno confusi con la grande maggioranza dei magistrati che sono persone per bene, dice un’altra verità. Ma quando annuncia la riforma della giustizia, a un giornale come Il Tempo tocca dire un’altra verità: il centrodestra è in ritardo da sedici anni. Un grave ritardo. Chi ha consigliato a Berlusconi la melina, la concertazione o la discesa a patti su un tema come la giustizia, non gli ha mai realmente dato una mano. La storia politica del centrodestra e dell’intero Paese è costellata di assalti giudiziari che sono serviti di volta in volta per regolare i conti tra fazioni, stendere al tappeto un pezzo di classe dirigente, elevarne qualche altro su un piedistallo malfermo e tenere sempre bene in piedi l’establishment irresponsabile che fino ad oggi, bene o male, è riuscito a spolpare il Paese. Un centrosinistra miope, in crisi esistenziale, in perenne seduta di autocoscienza, avrebbe dovuto, anche stavolta, scegliere un’altra strada. E invece assistiamo alla penosa scena di un Partito democratico che riesce nella surreale impresa di difendere le laute buste paga dei magistrati e l’inciviltà e la barbarie di un sistema giudiziario colabrodo che usa le intercettazioni per fare battaglia politica. Il Tempo su questi temi ha espresso una varietà di opinioni rara, ma sempre con il timone puntato sul rispetto della persona, della sua libertà, della dignità, del buon funzionamento dello Stato e della giustizia. Sarebbe bello poter dire che in Parlamento i partiti di maggioranza e opposizione navigano sulla stessa rotta. Purtroppo non è così. Berlusconi deve difendersi da accuse assurde che poggiano sul nulla ma servono a tenerlo sotto schiaffo. Bersani non sa che pesci pigliare e a sua volta deve difendersi dagli assalti di Di Pietro. Dovrebbe spezzare l'insano rapporto con la magistratura militante. La nascita del Pd è segnata dalle toghe, ma nonostante parte della sua classe dirigente abbia subìto il pestaggio delle procure e il partito sia nato più che come progetto politico come disperato tentativo di salvare la baracca quando sono emersi i giri finanziari del caso Unipol, nonostante tutto questo Bersani balbetta la difesa della corporazione. La sinistra ha dimenticato troppo in fretta la faida che s’innescò proprio sulla finanza rossa e le inchieste. Peccato. Oggi siamo punto e a capo. A Bari e a Trani indagano su un complotto contro il governo fatto di spifferate illegali a cui avrebbero partecipato ufficiali della Guardia di Finanza, magistrati, avvocati, giornalisti e politici. Evviva, che soddisfazione! Bisogna avere una grande faccia di bronzo per negare al presidente del Consiglio il diritto di reagire, criticare anche duramente una situazione del genere e chiamare il Parlamento a legiferare. Gli statisti e i partiti, in ogni era e situazione, si difendono dall'anti-politica. Sarà la storia poi a dire chi ha ragione, ma a giudicare da certi libri che sto leggendo, ho l’impressione che ancora una volta le parti dei colpevoli e degli innocenti un giorno saranno rovesciate.