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"Noi facevamo scoop anche senza avere una sola registrazione"

Ulderico Piernoli in auto con

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«I giornalisti tornino ad alzare il culo dalle sedie altro che leggi bavaglio». Non va per il sottile Ulderico Piernoli per anni inviato de Il Tempo, poi caporedattore al Tg2 e oggi direttore del Tgnews di Televita. Giornalista da strada, inviato sui fronti di guerra è stato testimone per anni di fatti di cronaca tra gli anni di piombo e le mattanze di mafia. Allora non ci troviamo di fronte a un tentativo di censura? «Assolutamente no. È una legge che rimette un po' d'ordine in anni di libero arbitrio. Fatto salvo che tutto quello che arriva in mano al giornalista va pubblicato, la verità è che in questi anni è arrivato alle redazioni di tutto e di più. Brogliacci di investigatori che i pm si sono limitati a copiare e incollare senza discernere fra ciò che riguardava l'indagine propriamente detta e il contorno, magari piccante. Troppo spesso nelle intercettazioni si perde di vista il reato e ci si infila di tutto. Sui giornali poi esce il gossip e così si imbrattano di fango persone che non c'entrano nulla con le conseguenze che sappiamo». Una volta come si faceva questo mestiere? «Infatti. Mi meraviglia sentir dire che ora non sarà più possibile fare inchieste e pubblicare notizie. Penso agli anni in cui cominciai questa professione. Giornalisti di "giudiziaria" del calibro di Guido Guidi de La Stampa, Franco Salomone de Il Tempo, Roberto Martinelli del Corriere della sera e tanti altri che giravano per i tribunali, pubblicavano scoop e inchieste senza avere bisogno di intercettazioni». Forse c'erano di meno? «La verità è che all'epoca non si poteva fare copia-incolla. I brogliacci della questura con le trascrizioni dovevano essere riscritte e quindi veniva preso solo quello che effettivamente era d'interesse per le indagini. Ora i pm copiano tutto nelle loro ordinanze anche cose insignificanti ai fini dell'inchiesta giudiziaria». E la tua esperienza personale? «Ho seguito le inchieste e i processi delle Brigate Rosse, il primo maxi processo di Mafia. I verbali delle confessioni di Buscetta e quelli degli interrogatori venivano pubblicati e ce li contendevamo tra colleghi. La verità e che quei verbali erano pieni solo di notizie attinenti ai fatti. Oggi, soprattutto le intercettazioni, sono un mix di tante conversazioni a volte insignificanti tra gente che è estranea alla stessa inchiesta, ma che possono diventare un'arma politica e come tale usata dai giornali. Per ritornare alla mia esperienza, ricordo ancora quando fu rapito il rampollo della famiglia Getty, Paul III, dopo la sua liberazione riuscii a impossessarmi del verbale con il racconto della sua prigionia. Fotocopiai tutto e lo rimisi a posto. Sul giornale uscì in esclusiva tutto il racconto». Sul filo del rasoio... «Certamente. Questo vuol dire però lavorare sul campo, non aspettare via mail o sul telefonino le notizie. Notizie che spesso sono interpretazioni della verità così come viene dispensata dalla gola profonda di turno. Altro aspetto che andrebbe indagato. Mi chiedo, infatti, che fine abbia fatto l'inchiesta sui due reporter di Repubblica filmati mentre entrano negli uffici della Procura di Trani. Gli stessi che poi hanno pubblicato sul giornale i documenti che lì erano custoditi. Chi ha indicato dove fossero le carte? Questo è il vero tema».  Vuoi dire che i giornalisti si fanno manipolare? «I giornalisti si devono dare una regolata. Il problema non è l'intercettazione ma l'uso che se ne fa. Pensiamo all'inchiesta della procura di Bari sullo scandalo sanità in Puglia. Lì c'è un giro di tangenti e di corruzione ed è intercettato un certo Tarantini. Eppure sui giornali per mesi si è parlato delle telefonate di Silvio Berlusconi e della signora D'Addario, di professione escort. L'inchiesta scomparsa, sepolta sotto paginate di gossip. Il processo mediatico ha fatto già troppe vittime illustri. Penso a Rino Formica o a Calogero Mannino, triturati sulla stampa e poche righe quando dopo decenni sono stati assolti». Che fare? «Darsi una mossa ed evitare di ragionare, seduti in redazione, intorno a teoremi senza fare la tara a quello che viene sapientemente distribuito per scopi non certamente di giustizia».

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