La sinistra cancella il mito di Zapatero
Ora fanno tutti finta di non conoscerlo, di non sapere chi sia. Eppure c'è stato un tempo in cui Josè Luis Zapatero era celebrato in Italia come un mito. Il suo nome era sempre seguito dalla parola «esempio». Un esempio da seguire. Piero Fassino si autoincensava per essere stato il primo a cogliere la famosa clausola per il ritiro immediato delle truppe e lo citava nelle polemiche con Asor Rosa. Francesco Rutelli manifestava il fatto di rispecchiarsi «nei valori repubblicani». Achille Occhetto andava sul lirico: «Si apre una nuova fase con Zapatero che prende il posto del declinante Tony Blair». Fausto Bertinotti sembrava pronto a sostituire il premier spagnolo con il suo idolo, il subcomandante Marcos. A Fabio Mussi non bastavano i complimenti del partito, gliene mandava anche a titolo del correntone interno ai Ds. Massimo D'Alema era come al solito il più figo di tutti perché raccontava in giro che lui, Zapatero, lo conosceva da tempo grazie alle comuni frequentazioni agli incontri dell'Internazionale socialista. Ci sono stati anni in cui «Bambi», come veniva chiamato il leader iberico, era osannato in Italia. Romano Prodi spiegava che faceva come Jose Luis: «Quel che dico faccio» sulle misure economiche. E poi tutti a prenderlo come modello. Marrazzo lo copiava sui pacs. E Vendola andava oltre lanciando i matrimoni gay. Pecoraro Scanio elogiava il fatto che aveva «resistito alle ingerenze della Chiesa». Tutta la sinistra italiana faceva a gara a copiarlo o a fingere di copiarlo. A suggerire di seguire il suo esempio. Su tutto, in tutti i campi. Persino sulla Rai, scegliendo gli stessi criteri di scelta dei componenti il Cda. Repubblica mandava nel 2006 un grande inviato a declamare le sue capacità: «La caratteristica del suo modo di governare è spingersi al limite del politicamente possibile». Poi venne il tempo di Walter Veltroni, che nel novembre del 2007 volò da lui, ovviamente a elogiarlo: «Che cos'ha la Spagna più di noi? Un quadro politico stabile che ha permesso di riformare il Paese, di modernizzarlo e di sviluppare l'economia. Un Paese carico di energie positive che sa trasmettere anche all'esterno, oltre a una buona dose di entusiasmo che noi in verità non abbiamo». Uno pensa: e vabbè, almeno non l'hanno preso come esempio sul lavoro. Macché. L'ex ministro del Lavoro Damiano declamava: «Impegno sul precariato, per la legge Biagi faremo come Zapatero». Sa e Rifondazione, appena si formava il governo Prodi, si ritrovavano uniti: «Facciamo come in Spagna, incentivi per favorire il posto fisso». Dopo quattro anni la cura Zapatero ha fatto effetto. La disoccupazione in Spagna ha raggiunto livelli impressionanti: ha superato il 19%, il doppio dell'Italia, e tende ancora a crescere. L'agenzia di rating Standard and Poor's ha abbassato il rating da «Aa+» a «Aa». Il Paese s'è fermato e ha dovuto fare una Manovra tagliando del 5% gli stipendi agli statali e bloccando gli aumenti. E anche il rapporto con la Chiesa sta ingranando la retromarcia. Ieri, incontrando il Papa, Zapatero ha spiegato che il Parlamento spagnolo approverà una legge sulla libertà religiosa. E la sinistra? Oggi se la prende con Berlusconi perché avrebbe commesso una gaffe lasciandolo solo: era tutto previsto dal protocollo.