Il Cavaliere "ricostituente" che piace al popolo

La nostra Carta fondamentale è una vecchia signora piena di rughe. E non basta un po’ di belletto per coprire i segni impietosi del tempo e farla ringiovanire. È necessario un intervento radicale. Se vogliamo, ricostituente. Alla faccia del cosiddetto "patriottismo costituzionale"! Il Cavaliere, com’è suo costume, non ha usato mezze parole. Ha detto che questa vecchia signora, la nostra Costituzione appunto, è "molto datata" e ha bisogno di essere rivista a fondo. Ha ragione. E ragione da vendere. Il fatto, rilevato da Berlusconi, che si parli in essa molto di lavoro, poco di impresa e per nulla di mercato è un segnale della sua decrepitezza, del suo essere frutto di un compromesso fra culture politiche - il comunismo, il cattolicesimo di sinistra, l’azionismo - che, ormai, la storia ha messo in un angolo. Più che un testo fondamentale di riferimento la Costituzione italiana è diventata un impaccio: il testo sacro cui si appigliano magistrati politicizzati per bloccare, attraverso il ricorso a una Corte costituzionale figlia della lottizzazione politica, l’attività legiferativa del governo. Eppure, la Costituzione stessa prevede la possibilità di essere rivista, corretta, adeguata alle sfide di una società nuova e soprattutto, ormai, post-ideologica. Guai, però, a parlarne. Quella bizzarra teoria del "patriottismo costituzionale" tanto in voga (e che ormai sta conquistando persino taluni ambienti del centro-destra) si traduce nell’idea che la Costituzione in vigore sia un "tabù" intoccabile se non dalle sinistre. Ovvero con il consenso delle sinistre: cioè di quella cultura politica catto-comunista e azionista, alla base, storicamente, del "compromesso" costituzionale. Una cultura convinta della propria superiorità etica. Se fosse vivo il principe De Curtis, in arte Totò, le pretese di questo mondo virtuista, che ascrive a sé il monopolio di giudicare ciò che è giusto e ciò che è bene, sarebbero liquidate con un «Ma mi facci il piacere!». Con il suo pragmatismo e con la sua capacità di saper cogliere gli umori e le attese dei cittadini, Berlusconi ha toccato, parlando all’assemblea di Confartigianato, il punto. È ritornato sulla necessità delle riforme istituzionali ed è stato deciso nel promettere iniziative legislative volte a modificare quell’articolo 41 della Carta costituzionale che parla sì dell’«iniziativa economica privata» ma in un contesto che anche lessicalmente - con il riferimento, per esempio, alla «utilità sociale» e il mancato richiamo al mercato - risente proprio di una visione tutt’altro che liberale e liberista. Questo è il Berlusconi che piace. Niente più bicamerali o diavolerie del genere, in nome di una impossibile condivisione che non potrà mai esserci proprio per il fatto che i "custodi" della Carta così com’è - i veri e più inossidabili conservatori in nome del "patriottismo costituzionale" - non sono disposti a nulla. E allora avanti, con le riforme. Anche a maggioranza. I cittadini le vogliono. Non solo la modifica, però, dell’articolo 41 della Costituzione. Vi sono tanti punti che stanno a cuore all’uomo qualunque. L’eliminazione del bicameralismo, farraginoso, burocratico, inutile. La riduzione del numero dei parlamentari, pletorico e irritante soprattutto quando si considerino le loro continue assenze dal posto di lavoro (si fa per dire!) alla Camera o al Senato. La soppressione delle province, fatta sul serio e non ridotta a una farsa che ne punisce solo alcune. Tutte riforme che servono, fra l’altro, a ridurre il costo della politica. È il momento giusto per rivedere la Costituzione. In modo serio e coerente. Senza preclusioni ideologiche e senza schematismi. Nell’interesse dei cittadini e del Paese. È ora, insomma, che sugli acciacchi e sui segni dell’età della vecchia signora si intervenga radicalmente. Altro che "patriottismo costituzionale"! Berlusconi vada avanti, senza curarsi delle critiche. Sarà, diciamolo pure, il Berlusconi "ricostituente" che piace agli italiani.