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Dagli statali mega risparmi

Il ministro Renato Brunetta

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La manovra chiede soprattutto al pubblico impiego di stringere la cinghia con il blocco degli stipendi ma il governo ha più volte giustificato questa operazione con il fatto che gli statali godono di una situazione migliore rispetto ai lavoratori del settore privato: posto sicuro e incremento di stipendio superiori. La conferma viene dal rapporto semestrale dell'Aran sulle retribuzioni della pubblica amministrazione. Queste negli ultimi dieci anni sono cresciute del 39,7% mentre quelle del settore privato del 25,7%. Lo studio dimostra come negli ultimi due anni i contratti di lavoro nel pubblico impiego si siano chiusi in linea con il tasso di inflazione programmata 3,2%. «Il rapporto - ha dichiarato il commissario dell'Aran, Antonio Naddeo - dimostra che negli ultimi dieci anni la dinamica retributiva del pubblico impiego è cresciuta più del settore privato, ma negli ultimi anni soprattutto l'ultimo biennio contrattuale, è stata pari ai tassi di inflazione. Il blocco dei contratti comporterà minori spese per 6,5 miliardi di euro a regime e realizzerà, insieme alle altre misure, una sostanziale parità delle curve di crescita retributiva tra pubblico e privato nel 2013». La relazione mostra che già nel primo anno della manovra, per il blocco dei contratti, si realizzeranno minori spese per 5,7 miliardi di euro (occorre sommare i risultati del 2010 a quelli del 2011) fino a giungere nel 2012 a una minore spesa di poco superiore a 6,5 miliardi. Va anche detto che la manovra non sembra limitare gli effetti del risparmio solo al blocco degli stipendi e dei sistemi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato fino all'anno 2012, poichè nel 2013 scatterebbe l'ulteriore vincolo alla crescita delle retribuzioni individuali, che non potranno superare quanto percepito nel 2010. Si tratterebbe in tal caso di un effetto a regime pari a 7 miliardi di euro. Uno studio della Cgia di Mestre rivela invece che la crescita più consistente di dipendenti pubblici tra il 2001 e il 2008 si è avuta nel Nord Est. A guidare la classifica è l'Emilia Romagna, con un incremento dell'8,1% (17.321 neo occupati); seguono il Friuli-Venezia Giulia con un + 5,7% (4.560 neo assunti) e le Marche con +5% (4.091 neo lavoratori). Appena fuori dal podio, troviamo il Veneto (+ 4,6%) ed il Piemonte (+4,2%). Per contro, tutte le Regioni del Sud subiscono una netta contrazione dei lavoratori occupati nel pubblico impiego. La Siclia scende dello 0,7% (-2.178 lavoratori), la Campania dell'1% (-3.318 occupati), l'Abruzzo dell'1,2% (-909 dipendenti), la Calabria del 2,4% (-3.102 ) e la Basilicata del 3,3% (-1.277). A Nordest - commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre - si è cercato di colmare il deficit occupazionale presente da decenni negli organici di molti settori del pubblico impiego. In particolar modo, le assunzioni hanno interessato i corpi di polizia, quelli dell'esercito e della scuola. In Friuli Venezia Giulia e in Emilia Romagna, inoltre, si sono registrati aumenti di tutto rispetto anche nella sanità. Da ricordare - prosegue Bortolussi - che questo trend di crescita si è interrotto con la Finanziaria 2008, che ha previsto che la spesa per le nuove assunzioni nel pubblico impiego non potrà superare il 20% di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente. Nonostante la crescita dei dipendenti pubblici sia stata più marcata a Nordest, la distribuzione dei lavoratori nel pubblico rimane maggiormente concentrata nelle regioni a Statuto Speciale, nel Lazio (per il ruolo svolto dalal Capitale) e nel Sud. Al primo posto troviamo la Valle d'Aosta con 91,4 dipendenti pubblici ogni 1.000 abitanti. Seguono il Trentino Alto Adige con il 72,3%, il Lazio con il 71,9%, il Friuli Venezia Giulia con il 69,2% e il Molise con il 66,3%. In termini assoluti è invece la Lombardia a registrare il numero più elevato di dipendenti: 422.558. L'analisi della Cgia di Mestre misura anche l'aumento percentuale della produttività. Anche in questo caso non mancano le sorprese. Se la crescita media nazionale è stata del 12,2%, a livello regionale gli aumenti più decisi si sono avuti nelle regioni del Centro. Al primo posto troviamo l'Umbria (+17,7%), al secondo posto il Lazio (+17%) e al terzo posto il Molise (+16,6%).

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