L'addio alle Province è solo un bluff

Strana storia quella dell'abolizione delle Province. Il provvedimento compare per la prima volta in una bozza del decreto legge sulla manovra anticrisi. A saltare sarebbero le Province con meno di 220 mila abitanti, a esclusione di quelle che appartengono a Regioni a statuto speciale o che confinano con Paesi stranieri. Cominciano i primi calcoli. All'inizio si parla di dieci Province. Poi tenuto conto dei necessari accorpamenti che si verificherebbero, quelle a rischio si riducono a otto. Scoppiano le polemiche: «È troppo poco», dicono alcuni. «Il numero minimo di residenti previsto non ha nessuna logica», dicono altri. «Il provvedimento salvaguarda gli enti del Nord, cari alla Lega», attaccano i più. Fino a quando a parlare è il senatùr in persona: «Ci sono alcune province che non sono toccabili. Se qualcuno prova a tagliare la Provincia di Bergamo, succede la guerra civile». L'intervento di Bossi è decisivo. Improvvisamente la storia si tinge di giallo: mentre le Province lì lì con il numero degli abitanti ancora contano, quelle date per spacciate protestano e i finiani chiedono l'abolizione indiscriminata di tutti gli enti, Giulio Tremonti dichiara: «È una notizia falsa. Nella manovra economica varata dal governo non ci sarà nessuna abolizione delle province». Nella bozza del decreto pubblicata sul sito del ministero del Tesoro, però, il testo c'è ancora. Chi dice il vero? A chiarire tutto definitivamente interviene il premier: «Nella manovra non c'è nessun accenno alle Province». Punto e basta. Le piccole realtà interessate tirano un sospiro di sollievo. Continueranno a esistere. Tanti i delusi, finiani in testa. Sono gli stessi elettori del Pdl a cominciare a temere il peso specifico raggiunto dall'alleato leghista nella maggioranza. Quello delle Province sembra essere un vero e proprio bluff. E invece, almeno in apparenza, così non è. Il provvedimento «scomparso» dal decreto sulla manovra, riappare per magia nel disegno di legge sulla Carta delle Autonomie. È l'emendamento introdotto dal relatore Donato Bruno a fissare i nuovi paletti. Ricompare la discriminante della popolazione che non può «in ogni caso essere inferiore ai 200 mila abitanti, secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica relativi all'anno 2009». In più verranno presi in considerazione come variabili determinanti, l'estensione del territorio di ciascuna Provincia e il rapporto tra questa e il numero di abitanti. Sembra una storia già vista. Si ricomincia a contare. Adesso le realtà a rischio sarebbero nove: Vercelli, Biella, Verbano-Cusio-Ossola, Sondrio, Fermo, Rieti, Isernia, Crotone e Vibo Valentia. «Siamo alle comiche finali» dichiara Fabio Melilli, presidente della Provincia di Rieti contrario al reinserimento del criterio del numero degli abitanti. Attenzione, però, perché anche stavolta il bluff è dietro l'angolo. L'emendamento apre diverse vie di fuga. Intanto bisognerà «tenere conto della peculiarità dei territori montani, ai sensi dell'articolo 44 della Costituzione» (tipo la Sondrio di Tremonti?). Poi c'è il rapporto tra estensione territoriale e densità abitativa che è ancora tutto da definire. L'inserimento del rispetto obbligatorio della procedura dell'articolo 133 della Costituzione che prevede l'adesione della maggioranza dei Comuni dell'area interessata, che rappresentino comunque la maggioranza della popolazione complessiva dell'area stessa, nonché del parere della Provincia o delle Province interessate e della Regione. Infine le eccezioni per le Regioni a statuto speciale e quelle di confine che - assicurano - verranno reintrodotte. Insomma, tra gialli, passi indietro e magie, questa rischia di diventare una storia inutile.