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Intercettazioni, il governo mette all'angolo Fini

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Gianfranco Fini

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Un no secco. Il governo chiude alle richieste di Fini e dei suoi uomini per modificare il testo in discussione al Senato sulle intercettazioni. E lo fa con un messaggio duro, chiaro, che lascia poco spazio a trattative. Lo ha lanciato Maurizio Gasparri che ieri pomeriggio ha partecipato insieme al ministro della Giustizia Angelino Alfano, al sottosegretario Giacomo Caliendo e ad alcuni senatori a una riunione a palazzo Madama. «Allo stato attuale non ci sono cambiamenti rispetto agli emendamenti presentati – ha spiegato il capogruppo – Se poi nel Pdl si vogliono avanzare nuove proposte, si riuniranno gli organi di partito competenti. Ci sono la Consulta sulla Giustizia e l'Ufficio di Presidenza». Avvertimento chiaro a Fini per fargli capire che dalla maggioranza non sono ammesse esternazioni a titolo personale. Neanche se arrivano dal presidente della Camera. «Nei procedimenti in corso – ha sottolineato Gasparri – ciò che si è fatto finora con le intercettazioni rimarrà valido anche con le nuove norme, non si azzera il lavoro». Filippo Berselli, presidente della commissione giustizia del Senato, anche lui presente al vertice, fa qualche distinguo: no alla modifica sui tempi, sì a uno spiraglio di discussione per quanto riguarda invece la norma transitoria (che prevede l'applicabilità del ddl anche ai processi in corso): «Il termine previsto sulla durata massima delle intercettazioni non si tocca. Settantacinque giorni sono più che sufficienti. È una questione davvero risibile perché nella versione del ddl intercettazioni licenziata dalla Camera il termine per la durata dei controlli era ancora più corto». Sulla norma transitoria, invece, la porta resta leggermente aperta a possibili cambiamenti: «Qualche aggiustamento verrà fatto», spiega il presidente della commissione giustizia. Fini ieri è rimasto in silenzio, ben sapendo che comunque il testo sulle intercettazioni dovrà arrivare in terza lettura di nuovo alla Camera. Ma mentre a palazzo Madama si incontravano i senatori del Pdl con il ministro Alfano, il presidente della Camera ha riunito i suoi fedelissimi. Dai quali alla fine è arrivato l'invito di discutere nel partito delle loro proposte. Come al solito il ruolo di «esploratore» e di «pontiere» è stato affidato al sottosegretario Andrea Augello: «Al di là delle polemiche politiche, credo che sulle questioni da noi poste sia possibile arrivare a un'intesa – ha spiegato – Certo, bisogna lavorarci. Tutti noi abbiamo percepito ieri al Senato l'intenzione del governo e della maggioranza di voler cercare di risolvere i problemi sul tappeto senza dare adito ad equivoci. Il rinvio in commissione Giustizia deciso dal presidente Schifani va in questa direzione». I paletti posti dai finiani, dunque, non sono cambiati ma l'obiettivo è di lavorare per trovare possibili convergenze e arrivare a un testo da approvare al Senato, così da scongiurare brutte sorprese nel passaggio a Montecitorio. Non a caso Augello lascia aperta la porta al dialogo e ribadisce: «Al di là dello scontro di lunedì di natura tutta istituzionale c'è la volontà di trovare possibili soluzioni». Contro Fini si è però scagliato ieri con violenza l'ex presidente del Senato Marcello Pera: «Il presidente della Camera cala sulla Costituzione e sulle istituzioni della Repubblica come Attila: incendia, saccheggia e devasta. Peggiori degli effetti che provoca sono le motivazioni: se Fini intende "svolgere un ruolo politico", come ha dichiarato, allora, se ne è capace, lo svolga nelle sedi appropriate. La presidenza della Camera è incompatibile con i ricatti politici». Poi l'ultima stoccata: «La voglia di fare futuro può anche portare a tradire gli impegni elettorali, ma non i vincoli costituzionali». Clima più disteso, invece, con Renato Schifani dopo lo scontro di lunedì: il presidente del Senato e quello della Camera si sono incontrati ieri alla festa al Quirinale: «Per me il caso è chiuso, ci siamo stretti la mano cordialmente», ha sottolineato il presidente di palazzo Madama.

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