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2 giugno, festa poco popolare

Via alle celebrazioni per il 2 Giugno

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Mai come quest'anno la più importante festa nazionale italiana, la festa della Repubblica, cade in un momento molto difficile. Non tanto e non solo per la grave crisi economica, ma anche e, anzi, soprattutto per i sintomi di profonda disaffezione di larga parte dei cittadini di fronte alle istituzioni e all'idea stessa di unità nazionale. I sintomi che segnalano la lacerazione del tessuto etico-politico del Paese sono molteplici. Vanno dal disinteresse (solo scosso da qualche polemica giornalistica) che accompagna i programmi e le iniziative volte a celebrare il 150° anniversario dell'Unità d'Italia fino alle bizzarre proposte di qualche amministrazione periferica volte a recuperare o valorizzare memorie o simboli di un lontano passato preunitario. Di fronte a questa situazione ha fatto davvero bene il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a richiamare l'attenzione sulla necessità che l'Italia “consolidi la sua unità” e che “il confronto fra le parti politiche” cessi di risolversi in una continua, sterile e pericolosa produzione di “scontro fine a se stesso”. Ha fatto bene, certo, il capo dello Stato, a ribadire questi concetti basilari per la convivenza civile in uno Stato moderno. E a ribadirli con forza in occasione di una solennità civile che dovrebbe, proprio in quanto tale, rappresentare simbolicamente il momento della più alta condivisione dei valori nazionali e degli ideali unitari. Tuttavia le buone e giuste intenzioni del presidente della Repubblica si infrangono sugli scogli della natura stessa di una festività che, di per sé, non è mai stata adatta a rappresentare l'unità del paese e che – riconosciamolo senza falsi pudori – non è stata mai troppo amata dagli italiani nella loro totalità. La festa del 2 giugno – con il suo preciso riferimento al referendum istituzionale del 1946 – non era nata, in fondo, sotto una buona stella. Quel referendum aveva infatti posto in evidenza non solo una ristrettissima (e discussa) maggioranza dei fautori della repubblica rispetto ai sostenitori della monarchia, ma aveva anche messo in luce, attraverso la distribuzione territoriale del voto per le due alternative, l'esistenza di una profonda disomogeneità culturale e politica fra le regioni centro-settentrionali e quelle meridionali. Una celebre vignetta di Giovanni Guareschi, pubblicata con grande rilievo sul settimanale «Candido» all'indomani del risultato della consultazione referendaria, esemplifica mirabilmente il senso della frattura implicito nel referendum: sulla terrazza del Quirinale si vedono di spalle Umberto e altre persone che osservano una scia di pezzi carta dispersi nel cielo: sono – dice la battuta – “i voti di mezza Italia”. Di feste nazionali che facciano riferimento a fratture storiche particolarmente delicate ce ne sono. Basti pensare, in proposito, al 14 luglio, che per la Francia rappresenta simbolicamente la presa della Bastiglia e quindi richiama alla mente un momento ancora più traumatico e di color rosso sangue. Eppure quella festa è diventata Oltralpe davvero festa nazionale, più esattamente “festa patriottica” e “festa di popolo” , nel senso pieno del termine, per il fatto che il sentimento nazionale e di unità nazionale, in quel paese, è profondamente radicato – e lo è da secoli – indipendentemente dal succedersi dei regimi. Ma il sentimento nazionale esiste davvero in un paese se c'è la consapevolezza della propria storia e della propria identità. Quando ciò avviene si può assistere, come accade in Russia oggi, anche in occasione della festa nazionale, alla compresenza di elementi simbolici che richiamano il passato zarista e quello comunista accanto al presente post-comunista. Quando, invece, nel 1948 venne istituita in Italia la festa del 2 giugno, il paese stava ancora percorrendo la strada della difficile riconciliazione nazionale. E le stesse forze politiche che si erano espresse a favore della repubblica si erano ormai divise, a causa della cosiddetta “guerra fredda”, fra di loro, tanto che quella data non poté nemmeno rappresentare il cosiddetto “patriottismo costituzionale”. La festa del 2 giugno, insomma, per tanti motivi, non riuscì mai a diventare davvero “festa popolare” capace di rafforzare uno stretto legame fra cittadini e istituzioni. E, soprattutto, di contribuire alla rinascita e allo sviluppo di quella coscienza nazionale che dovrebbe rappresentare il collante dello Stato. Il problema non è tanto quello della frattura monarchia-repubblica quanto piuttosto quello del recupero della storia e della identità nazionali. Quando, e se, ciò avverrà allora questa festa potrà forse esaudire l'auspicio del presidente della Repubblica.

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