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Pizzi e barbe finte

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L'immagine scattata nel 2003 da Umberto Pizzi: Bruno Vespa e Gianni Letta durante una serata alla residenza dell'ambasciatore tedesco. Nel cerchio il fantomatico

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L'Italia sembra Bisanzio. È tutto un fiorire di complotti, schemi, inchieste, clan, camarille e circoli segreti. L'ultima meravigliosa apparizione di questo feuilleton, opera spionistica da quattro soldi, il cui titolo perfetto, come vedrete, è «Pizzi e barbe finte», riguarda «il signor Franco». Che non è né il barbiere di fiducia, né il panettiere, né il pescivendolo o il pizzicarolo, ma niente meno che una barba finta dietro la quale si celano le stragi di mafia degli anni Novanta. Improvvisamente l'Italia degli «intelligentoni» s'è svegliata per andare a caccia del signor Franco, indicato dal nuovo oracolo Massimo Ciancimino, figlio del ben più noto Vito, e prontamente immortalato in una foto di «Repubblica», giornale specializzato nell'uncinetto investigativo.   Il quotidiano non ha dubbi, la prova c'è: foto di «Parioli Pocket», nota rivista d'intelligence da salotto. Stupore generale. Trepidazione. Ammirazione. Che scoop! Poi in redazione, qui a Il Tempo, ci siamo detti: «ma, famme vedè n'attimo sta cosa. Mica noi siamo l'agenzia Pinkerton, siamo piccoli, perfino di destra quindi incapaci antropologicamente di volare alto. E dunque voliamo basso. La foto del signor Franco pubblicata dai valorosi colleghi di «Parioli pocket» e ripubblicata da «Repubblica» è niente meno firmata che da Umberto Pizzi, un tipo che qui conosciamo bene. Alberto Di Majo coglie il nostro paparazzo preferito nel suo eremo arcadico di Zagarolo. Umberto è in ben altre cose affaccendato: raccoglie ciliegie per fare la marmellata. Altro che spie, stragi, complotti, golpe alla pizzaiola. Insomma, leggetevi il pezzo nella pagina a fianco e ditemi voi, cari lettori de Il Tempo, che caspita di Paese è quello in cui un dirigente della Bmw viene preso per una spia, una foto postdatata di tre anni e la verità arriva dal principe dei paparazzi? Essendo noi piccoli e forse anche un po' ingenui, siamo portati a pensare che sia tutta una gran balla, un rumoraccio aggiunto al casino generale in cui questo Paese sta piombando per ignoranza e incapacità di vedere al di là del proprio ombelico.   Fateci caso: le inchieste fioriscono come funghi sotto la rugiada, quasi nessuno si chiede ormai da tempo - anche nei giornali - su quali vasi siano fondate e che fine faranno gli eventuali processi. I giornali scoppiano di dossier, verbali, intercettazioni. Non c'è neanche bisogno di cercare, arriva tutto abbastanza facilmente. Basta essere della cricca giusta, quella che non cerca per forza la verità, ma alza una cortina fumogena sul presente e per il futuro si vedrà. Il governo e la maggioranza sembrano incapaci di portare avanti un disegno per il Paese. Sono stati messi sotto schiaffo non tanto e non solo dalla magistratura. Il passatempo preferito nel Palazzo da mesi e mesi, è quello di andare a caccia «del prossimo bischero che sarà impallinato». Ora potrete comprendere cari amici, in che situazione siamo. In un Paese serio la principale azienda della Difesa, non sarebbe mai stata coinvolta in un tourbillon di notizie vere e false riguardanti la sua attività, in Italia e soprattutto all'estero. Mi riferisco al caso Finmeccanica, per me esemplare di quale sia ormai la deriva che ci attende.   Quando si toccano senza alcuna prudenza e un minimo di savoir faire i «campioni nazionali» significa che lo Stato sta andando letteralmente «in pappa». Ci manca solo che nel frullatore ci finiscano Eni, Enel e qualche veneranda istituzione della finanza per completare l'opera di demolizione dello Stivale e consegnare il Paese al primo predatore straniero che passa. Non mi stancherò mai di ripetere la frase di Ennio Flaiano: «La situazione è grave ma non seria». Eppure stavolta ho il sospetto che sia seria. Quando la foto d'occasione di un salotto diventa materia di Stato, quando chi fa Difesa deve difendersi, quando chi governa non può tutelarsi, quando l'opposizione è un ectoplasma, quando la classe degli industriali non riesce a cogliere la sfida in prima persona, quando la Chiesa è costretta a porsi in una trincea, quando la magistratura si occupa del suo portafoglio confondendolo con autonomia e indipendenza, significa non che abbiamo toccato il fondo, ma che stiamo iniziando a scavare.   E allora anche a noi non resta che cercare di scavare per sbugiardare chi confonde il signor Franco di turno con un Pinco Pallino che non c'entra niente. Ci sentiamo come il nostro buon Umberto Pizzi: facciamo la marmellata, è buona, dolce, onesta e digeribile. Altri hanno deciso di servire al Paese un piatto indigesto e disonesto. Chiudete, per il bene di tutti, la cucina dei veleni.  

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