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Senatori e deputati pronti per la dieta

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Gianfranco Fini

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Tagliare i costi della politica. Appena qualcuno si azzarda a pronunciare questa frase la reazione è sempre quella: c'è chi applaude, c'è chi si indigna, c'è chi sfrutta l'onda per fare demagogia e c'è chi, sollecitato dalle pressanti richieste, tenta di dare delle risposte concrete agli italiani. La manovra avrebbe dovuto andare in quella direzione, avrebbe dovuto mettere un tetto significativo agli stipendi della «casta» e invece è lo stesso Berlusconi ad ammettere che alla fine «chi paga un dazio sulla manovra è il personale del pubblico impiego». Quindi, un fuoco di paglia che i cittadini italiani purtroppo si troveranno a dover pagare. A onor del vero con la manovra qualche passo in avanti il governo ha tentato di farlo ma purtroppo rischia di essere poco rispetto a quello che chiedono gli italiani. Infatti, ad esempio, se da una parte è stata prevista la riduzione del 10% per la parte eccedente gli 80mila euro del trattamento economico di ministri e sottosegretari non parlamentari, dall'altra si capisce che, a pagare «dazio», saranno solo dieci persone. Un numero bassissimo se si pensa che tra deputati e senatori (compresi quelli a vita) si arriva a quota 952. Fatti due conti, a rimetterci è poco meno dell'uno per cento dei parlamentari. Una percentuale che diventa ancora più significativa se paragonata a quella che emerge dall'ultimo sondaggio realizzato dall'Ipso di Renato Mannheimer per Porta a Porta: alla domanda «come giudica la riduzione degli stipendi dei ministri e sottosegretari tutti» il 78% degli intervistati ha risposto «efficace». E tutto fa pensare che la risposta consideri sia gli eletti che quelli nominati. E se questo non fosse ancora sufficiente ecco che l'ulteriore conferma arriva proprio dalla presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, durante l'assemblea nazionale degli industriali di ieri: «La politica dà occupazione a troppa gente in Italia. Ed è l'unico settore che non conosce né crisi né cassa integrazione». Risultato? Nessuno dei 37 applausi che la platea aveva riservato al discorso della Marcegaglia era stato così tanto caloroso. Quindi anche dal mondo dell'industria l'appello è sempre quello: tagliare i costi della politica. E così, dove la manovra si è dimostrata carente, ci hanno pensato i presidenti di Camera e Senato ad avviare la «cura dimagrante» che, in linea con le esigenze richieste dalla crisi economica, dovrebbe portare a una riduzione complessiva del 10% delle spese in tre anni. Gianfranco Fini e Renato Schifani hanno preso in mano la scure e via con il repulisti: tagliati i trattamenti economici dei parlamentari, tagliati gli stipendi del personale in servizio, comprese le pensioni e tagliati tutti gli stanziamenti di bilancio «a carattere non vincolato», ovvero spese di rappresentanza, per convegni e per i gruppi. Parlare di cifre è ancora presto ma l'obiettivo di risparmio c'è: non riguarderà l'indennità fissa di deputati e senatori in quanto oggetto di tassazione e base per stabilire la pensione, ma altre voci di entrata come il rimborso relativo alla diaria di soggiorno (che attualmente per i deputati è al massimo di 4.003 euro mensili); quello per le spese per i viaggi (ora è al massimo 3.995 euro a trimestre), il rimborso telefonico (oggi 3.098 euro all'anno) e i contributi per i portaborse e per mantenere il contatto con il territorio (oggi 4.190 euro al mese). Una limatura che diventerà ancora più drastica per espressa volontà di Fini che starebbe pensando a un meccanismo per «punire» (anche dal punto di vista economico) i parlamentari assenteisti. Un sistema che, come quello avviato in Aula con le impronte digitali, dovrebbe registrare le presenze nelle commissioni. In questo modo i «taglio» alla diaria, ricadrebbero in maniera maggiore su chi non partecipa a questa parte importante del lavoro parlamentare. La strada, questa volta, forse, è tracciata. Ora non resta che aspettare di vedere se i buoni intenti lasceranno spazio ai fatti. Questo almeno è quello che si aspettano gli italiani.

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