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La sinistra mangia, la destra paga

Il conto di Prodi, Rutelli e Veltroni: dieci miliardi di debiti che pagheranno i romani

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L'oste presenta il conto. Salato. Indossa gli abiti di Romano Prodi, Francesco Rutelli e Walter Veltroni. Dopo i fasti di notti bianche, inaugurazioni, odi, sonetti e tripudio generale ecco apparire di fronte allo sguardo incredulo del cittadino romano la verità: la sinistra è quasi sparita dalla carta geografica, ma la sua eredità nella Capitale e nel Paese è devastante. La sinistra mangia, la destra paga. La crisi della Grecia, gli attacchi speculativi sull'euro e il debito sovrano hanno solo accelerato l'inevitabile epilogo dell'andazzo generale. Ora la pacchia progressista è finita, i dieci miliardi di debito del Comune di Roma sono un macigno, il debito della Sanità nel Lazio (in termini assoluti più grande del dissesto della Grecia) è un moloch e qualcuno lo deve pagare. Chi? "Lo Stato!" risponderà il più lesto dei lettori. Sì, certo, ma lo Stato siamo noi. Scriverlo non cambia di una virgola lo scenario, ma è bene che si sappia da chi è stato ereditato questo fardello. A livello nazionale e locale il centrosinistra ha portato avanti scelte politiche che oggi si rivelano dannose. Bombe a orologeria che una a una stanno detonando. La riforma del Titolo V della Costituzione - votata in chiusura di legislatura, in maniera unilaterale - ha scassato il rapporto tra territorio e Stato, tra Regioni e governo nazionale. Non solo ha confuso le competenze o devoluto agli enti locali settori che invece dovevano restare dominio assoluto del governo centrale (vedi alla voce energia), ma ha contribuito in maniera determinante a creare le condizioni per far crescere il debito della Sanità, il vero bubbone della finanza pubblica. E non solo. Come ha spiegato Giulio Tremonti, dopo quella riforma, dal 2001 le prestazioni per le pensioni di invalidità sono cresciute da 6 a 16 miliardi di euro. La moltiplicazione di zoppi da sprint, non vedenti da gran premio, immobilizzati in vacanza ai tropici è stata spettacolare. Il peggio del peggio. Il federalismo della sinistra è stato una iattura. E questo dovrebbe essere un memento per lo stesso centrodestra che s'appresta a varare un'altra riforma che punta a delegare i poteri ai territori spogliando sempre più il governo centrale di alcune sue competenze. Quando Silvio Berlusconi dice che «la responsabilità per l'attuale situazione dei conti pubblici è dei governi della prima Repubblica e della sinistra che ha fatto una riforma costituzionale del titolo V dissennata che ha fatto esplodere i costi della sanità» dice una cosa esatta. Speriamo solo che la lezione serva a tutti per capire che l'esaltazione in sé dell'autonomia e del federalismo non sono una garanzia. Anzi, visti i fatti sono un avvertimento per il futuro. Vedremo presto cosa accadrà. Intanto i cittadini romani si ritrovano proiettati in una realtà che all'improvviso non è più quella dipinta dai suoi precedenti amministratori. Un debito ciclopico ora emerge in tutta la sua gravità. Fino a ieri i cittadini non ne hanno mai avuto una reale percezione. Per qualche decennio si è andati avanti come se niente fosse. Allegramente. Irresponsabilmente. La sinistra ha giocato con il fasto, lasciando il nefasto al sindaco della destra, quel Gianni Alemanno che oggi si ritrova a gestire un portafoglio gonfio di debiti da onorare, fornitori sul piede di guerra, un carrozzone pubblico ipertrofico da tagliare, un sistema di clientele consolidato e ramificato difficile da spezzare. Al sindaco della Capitale non ho mai risparmiato critiche severe. So che se ne lamenta, mi stupirebbe il contrario. Ma debbo anche dire con altrettanta franchezza e onestà che Alemanno in Comune ha trovato le macerie. Una surreale situazione in cui l'orchestrina rutellian-veltroniana suonava da anni, mentre il Titanic del Campidoglio affondava tra i gorghi della spesa senza senso. Roma non è una città facile da amministrare. Per nessuno. Ma se c'è un posto dove le ricette della sinistra italiana hanno mostrato la corda sono qui, nella Capitale. Ogni volta che qualcuno osava sollevare qualche obiezione, si sentiva il coro degli intelligentoni rispondere: «Non capite niente, siete ignoranti, noi sì che siamo colti e chic». Tanto svegli da esser mandati a casa in un sol botto da un candidato della destra che tutti davano per sconfitto. Ecco, improvvisamente il velo è sceso, la verità ha fatto irruzione nel racconto di una Roma che esisteva solo nell'immaginario veltroniano. Quando ero vicedirettore a «Panorama», subito dopo il voto che aveva premiato Alemanno, pubblicai un sondaggio sul gradimento dei servizi comunali da parte dei romani. Era disastroso. La maggioranza dei cittadini era insoddisfatta. Quel sondaggio, commissionato dall'amministrazione di sinistra uscente, non era mai stato reso noto. Chiuso a chiave. Nemmeno Rutelli ne era a conoscenza. Se l'avesse letto, non si sarebbe mai candidato. Ma i compagnucci gli avevano tirato una «sòla». La stessa che hanno tirato ai cittadini di Roma. Ora tocca ad Alemanno rimboccarsi le maniche, ottenere quanti più soldi possibile per far funzionare la baracca del Campidoglio e mettere mano con vigore al riordino di tutto il sistema capitolino. È il momento di prendere il toro per le corna. I cittadini accetteranno i sacrifici solo se si parlerà con la lingua della verità e si agirà con durezza. Coraggio sindaco, privatizzi, tagli, investa, denunci l'ipocrisia di chi non vuol starci, metta ogni giorno in mutande una sinistra in crisi e senza idee, mandi a quel paese chi nel Pdl fa la fronda e chi non ha capito che l'età dell'oro è finita e quella delle notti bianche era un'illusione svanita.

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