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Il coraggio di Tremonti

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Il ministro dell'economia Giulio Tremonti

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Una manovra lacrime e sangue? Giulio Tremonti merita sostegno in un momento difficile durante il quale si è sforzato di resistere alle tentazioni (e alle pressioni) per imprimere ancor più rigore ai conti pubblici. La manovra da 24 miliardi in due anni è un tassello ineludibile per recuperare la credibilità del sistema Paese, e metterci al riparo dal rischio Grecia. Atene non è sprofondata perché si trovasse in una condizione molto peggiore della nostra: è sprofondata perché ha dato la sensazione di voler proseguire sulla strada dell'imbroglio contabile, della spesa dissennata, dell'irresponsabilità fiscale. Quello che merita attenzione e dibattito, dunque, non è tanto quello che c'è nella manovra; ma il modo in cui viene conseguito. Alcuni interventi, per quanto dolorosi, sono necessari. La spesa pubblica italiana è troppo alta per un Paese come il nostro, e rappresenta contemporaneamente un freno allo sviluppo e la principale causa del livello del deficit pubblico (e, tramite esso, dell'impossibilità di ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil). Lasciare intatta la spesa equivale a ignorare l'avvertimento del Fondo monetario internazionale: "la disciplina fiscale, ridurre il peso del debito pubblico e aumentare il tasso di crescita nel lungo periodo". L'operazione del ministro dell'Economia coglie abbastanza bene i primi due aspetti, ma sembra poco incisiva rispetto al terzo. La crescita economica dipende da una serie di variabili, molte delle quali sottratte alla discrezionalità dei governi. Dipende però, e in misura critica, da almeno due questioni che invece rientrano nella piena capacità dell'esecutivo: l'esistenza di un quadro normativo e regolatorio stabile e affidabile, e la moderazione fiscale. Il primo, paradossalmente, rischia di uscire indebolito dalla manovra. Non solo perché alcune azioni - come il taglio indifferenziato degli stipendi ai dirigenti pubblici - trasmettono un messaggio del tipo "anche i ricchi piangano" (che per giunta ricchi non sono). Altri ancora, come i limiti ai pagamenti cash o il nuovo redditometro, esasperano un fenomeno già in atto, cioè l'inversione dell'onere della prova nei rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione: ciascuno di noi dovrà provare la propria innocenza, tutti saremo presunti colpevoli. Vale il principio: "lo Stato non sa perché ti punisce, ma tu lo sai". Tutto questo può produrre un effimero beneficio nell'immediato, perché sicuramente farà emergere un po' di comportamenti illeciti. Ma, nel lungo termine, uno Stato occhiuto e sospettoso scoraggia gli investimenti. Può ricuperare un po' di gettito qui e ora - che forse è l'obiettivo primario del governo - ma difficilmente getta le basi perché sia creata più ricchezza nel futuro. Se, viceversa, l'obiettivo è la crescita, occorre partire dalla manovra di Tremonti per osare di più. C'è, per esempio, ampio margine per ulteriori tagli nelle due maggiori voci della spesa pubblica: sanità e pensioni, come ha scritto Francesco Forte. C'è anche la grande questione degli enti inutili: questo è il momento per dar seguito al programma del Pdl e abolire le province. Questo permetterebbe di sorvolare sugli aspetti più discutibili dell'intervento approvato ieri. Poi, ci sono una serie di iniziative a costo zero che potrebbero avere un istantaneo effetto pro-crescita: dalle riforme di Renato Brunetta per rendere più efficiente la pubblica amministrazione (che, peraltro, fornirebbero il contesto entro cui operare tagli alle retribuzioni dei dipendenti meno produttivi) alle liberalizzazioni. Infine, Tremonti è a un bivio: che fare dei 24 miliardi di euro che la sua manovra gli consegna? Può usarli per ridurre la spesa e il deficit, senza sostanziali conseguenze e strutturali sulle nostre prospettive di crescita. Oppure può investirli in quello che, fino a pochi anni fa, era il suo pallino: la riforma fiscale. Un inizio di questo percorso è già sull'agenda politica del Paese: il taglio dell'Irap al Sud è una mossa coraggiosa e visionaria. Ma il ministro può fare di più. Perché non toccare anche il cuneo fiscale, o l'Irpef? Solo così il Paese potrà tornare a crescere. E solo crescendo può sperare di ridurre deficit e debito.  

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