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Dopo Santoro martire Giovanna D'Arco Busi

Maria Luisa Busi

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Dopo Masaniello arriva Giovanna D'Arco. Ancora choccati dal lungo monologo di Michele Santoro giovedì sera ad Annozero, un sermone di accuse (a tutti, alla destra, alla sinistra, al centro) e di difesa (ci mancherebbe, visto che gliela danno) della buonuscita milionaria che incasserà da mamma Rai, i teleutenti si sono visti ieri piombare sulla testa un'altra tegola. Maria Luisa Busi non ce la fa più e molla la conduzione del Tg1 delle 20. Per via del direttore Augusto Minzolini, è ovvio. E della sua linea editoriale che ha dirottato il Tg della Rete Ammiraglia verso lo schianto, cioè alla «definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori». L'ha scritto, nero su bianco, in una lettera che ha, poi, affisso sulla bacheca di redazione. E che può fare una povera giornalista mezzobusto del Tg1 per dimostrare la sua indignazione? Non può togliere, certo, la firma ai pezzi che non scrive ma può togliere, questo sì, la faccia e la voce a quelli scritti da altri che graziosamente legge, ogni sera. Certo è una scelta difficile, ma obbligata «per il rispetto che nutre per i telespettatori, gli unici referenti». Ancor più difficile dopo 21 anni di fulgida carriera. Sullo sfondo, però, ci sono questioni più strettamente personali. Dopo i fatti de L'Aquila (quando la troupe del Tg1 guidata dalla Busi venne contestata per strada, ndr) lei ha capito «che il rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso» come le accuse «di sputare nel piatto dove mangia» e la richiesta di Minzolini «di un provvedimento disciplinare nei suoi confronti». Le lingue biforcute sempre in azione nei corridoi tutti uguali di Saxa Rubra danno la loro versione dei fatti: Maria Luisa ha messo le mani avanti. Il direttore Minzolini, volendo svecchiare il parco conduttrici, aveva già intenzione di levarla dal microfono. Davvero un evento «doloroso» per le giornaliste del Tg1 che equivale al «Viale del Tramonto». La conduzione delle 20 è il traguardo dei traguardi, il punto d'arrivo di una carriera costruita tutta in funzione di quello scranno. Anche la Busi, come la Ferrario, ha fatto la sua lunga e paziente gavetta. Dai tempi del trequartismo della Gruber, dei mesti e languidi primi piani di Sassoli ecc. È ovvio che nel frattempo ha fatto anche i servizi (Tv7, per esempio), come ogni comune mortale che fa il giornalista. Ma la vera ambizione è star lì ogni sera, dopo aver passato un'oretta dal trucco e parrucco. Altro destino per Michele Santoro che, a detta dei beninformati, la prossima settimana firmerà la transazione dorata: sette milioni di buonuscita, più un milione per sette docufiction. Ci sono dei dettagli da chiarire: Santoro non gradisce la clausola di non concorrenza. Perché sembra che non veda l'ora di ripetere l'esperienza esaltante di «Raiperunanotte», anzi addirittura il suo sogno sarebbe quello di una televisione tutta sua. In Rai, però, ora c'è una gran voglia di levarselo da torno. Una cosa che a lui va strabene. Insomma i papaveroni della Rai non hanno accolto il suo appello: «Se volete che resti chiedetemelo». Del resto lui li ha bacchettati tutti. E le ferite bruciano ancora.

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