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Destra e sinistra unite sul tartufo

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Anzi,con un tartufo. Nuove norme per far emergere il sommerso e combattere con armi più efficaci un'evasione fiscale di non poco conto, e al tempo stesso garantire la piena tracciabilità del prodotto a tutto vantaggio del consumatore che potrà contare su una maggior sicurezza e qualità del tubero più pregiato del mondo: per il tartufo è in arrivo una rivoluzione legislativa, innanzitutto sotto il profilo fiscale, frutto di un'iniziativa bipartisan in Parlamento di Pdl e Pd che prevede l'istituzione di un "registro del tartufo" in cui siano specificate, nel passaggio dal cercatore-produttore al consumatore, quantità, qualità e tipologia dei prodotti. Una tassa sul tartufo, sì, ma con un forte "sconto": una riduzione forfettaria del 50% a regime della base imponibile sul reddito derivante dalla vendita del prodotto, riconoscendo le spese sostentute per la manutenzione delle zone tartufigene, per l'allevamento e l'addestramento dei cani. «Questo è un settore in cui si è legiferato pochissimo e per il quale le norme oggi in vigore non sembrano sufficienti», dice all'Adnkronos Massimo Fiorio, deputato piemontese del Pd e primo firmatario della proposta di legge del centrosinistra. L'altra iniziativa legislativa, identica, è del Pdl e vede come prima firmataria Gabriella Carlucci. In tempi brevi, sottolinea Fiorio, le due proposte inizieranno il proprio iter in commissione Agricoltura di Montecitorio. In Italia il mercato del tartufo muove ogni anno qualcosa come mezzo miliardo di euro e «gran parte di questa somma -afferma Fiorio- è in nero». Una situazione che, sostengono Pd e Pdl, impone una revisione delle norme in vigore per regolamentare con più equità il mercato del tubero cui gli antichi greci attribuivano poteri miracolosi e consideravano il frutto della fusione tra il fulmine, l'acqua e la terra. Ma non c'è solo l'aspetto economico della vicenda, comunque importante, in un periodo in cui la lotta all'evasione fiscale è al centro del dibattito politico. Una "grattatina" di tartufo bianco d'Alba su un piatto di spaghetti può costare anche 50 euro: giusto, quindi, garantire al consumatore la provenienza del prodotto, certificarne la qualità, per non rischiare di trovarsi a pagare un conto salato al ristorante per aver assaporato non già un italico, e pregiatissimo, fungo ipogeo, bensì un tubero cinese, marocchino o romeno che, stando ai gourmet del settore, non sono la stessa cosa. Le norme in vigore, spiega Fiorio consentono all'acquirente di autofatturare il prodotto senza indicare chi lo ha raccolto, nè il luogo di provenienza: «Questo, che a prima vista può apparire come un elemento di semplificazione amministrativa e fiscale, di fatto introduce una forte distorsione del mercato e apre la strada alla possibilità, che già si sta verificando, di un commercio ingannevole nei confronti del consumatore a arreca gravi danni economici ai territori vocati alla produzione di tartufi».

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