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Matrimonio d'interessi tra Di Pietro e Lega Nord in vista del dopo-Silvio

Antonio Di Pietro al tribunale di Firenze

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Pietro Capua Fa persino impressione vederli così politicamente infatuati l'un verso l'altro. E però gli italiani dovranno abituarsi alle reciproche smancerie della «strana coppia» composta da Antonio Di Pietro e Roberto Calderoli. Non è infatti un afflato temporaneo e contingente, il loro. E nemmeno è soltanto uno sparigliare il tavolo per abbattere gli abboccamenti di Pdl e Pd con Pier Ferdinando Casini. «Tonino» e «Bob», con Umberto Bossi supervisore, hanno infatti issato le vele di un progetto a medio termine, da testare nel mare magnum della politica italiana, ma già salpato con il sorprendente «sì» dell'Italia dei valori alla devolution demaniale. La prova d'amore di Tonino. È un progetto che scommette sul futuro ma già agita il sonno del Pdl («Mi è sembrato inopportuno chiedere i voti all'Idv», notifica il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto).  Al primo punto prevede infatti l'uscita di scena di Silvio Berlusconi, ovviamente in direzione Quirinale per il Carroccio, in quella dei giardinetti per l'Idv. Ma tant'è, quando sarà, conterà occupare gli spazi elettorali lasciati da un Pdl orfano del Cavaliere (su quelli del Pd, orfano di un qualsiasi leader, l'Opa è bella che lanciata da tempo). E come farlo se non cavalcando, da subito, temi ultrapopolari come il federalismo e la legalità? Il primo è vitale per Bossi, il secondo per Di Pietro. Ma entrambi, da consumati marpioni, non disdegnano incursioni «tematiche» reciproche, soprattutto a uso dei media. E così, la dottrina dell'uno è diventata un po' la dottrina dell'altro, nonostante il federalismo dell'Idv sia soltanto tattico e la storia dei leghisti non sia propriamente quella degli stinchi di santo. Ma il Senatùr e l'ex Pm, si sa, sono maestri nel costruirsi buona stampa. E risultano anche più simili di quanto si pensi. Popolari e populisti, giustizialisti con gli altri, moralisti a tempo determinato, quando si tratta di sporcarsi le mani per il proprio partito e pure per sé, non le tirano indietro. Mai. Come nel caso dei rispettivi figli, lanciati in politica come farebbe un Mastella qualsiasi. Poi, è chiaro, se uno ragiona su ipotetici ribaltoni, l'ipotesi non è nemmeno in agenda. Anzi, a domanda precisa, Calderoli risponde che «la maggioranza è quella votata dal popolo italiano, cambiarla sarebbe un tradimento». Ma sul post-Berlusconi, appunto, nessuno nega niente. Con un atout in particolare. La Lega cerca un alleato affidabile al Sud, dopo il fallimento della liason con l'Mpa del governatore siciliano Raffaele Lombardo. Ecco, il Carroccio non intravede all'orizzonte alleati migliori dell'Idv dipietrista. Va da sé che l'asse comporterebbe la spartizione territoriale degli interessi elettorali, con «Umberto» padrone del Nord-centro e «Tonino» nelle vesti di Masaniello del Sud-Centro e Isole. Un'ipotesi, questa, che spaventa Luigi De Magistris. Lui, il leader de «l'Italia dei malori», punta alla vittoria dei congressi provinciali e regionali per poi imporre un nuovo congresso nazionale. Stavolta con una mozione opposta a quella di Di Pietro, antileghista tout court. Prima che Bob Calderoli convinca pure l'amico Tonino a urlare contro «Roma ladrona».

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