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Privilegi, il menù a prezzo politico costa 9 milioni ma loro ne pagano 1

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La buvette della Camera dei Deputati

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Il menù dei parlamentari ha il prezzo politico. Ogni anno i deputati pagano di tasca loro 1 milione e 100 mila euro per i servizi di ristorazione. Ma la spesa per i loro pranzi e cene è molto più alta: più di 5 milioni di euro, saldata ovviamente dallo Stato. Stessa musica al Senato, che spende quasi 2 milioni e 800 mila euro all'anno. Le spese saranno pure diminuite negli ultimi tempi ma gli sprechi e i privilegi restano. Alcuni davvero poco giustificabili. Un deputato guadagna più di 16 mila euro al mese, un senatore quasi 15 mila e 500. Eppure possono contare su corsi di lingue straniere, rimborsi per viaggi e trasporti vari, pure agende e buste personalizzate. Tutto senza pagare un centesimo. Ma sono i pasti a catalizzare una fetta rilevante del bilancio. Nel documento contabile 2009 della Camera dei deputati le spese per i servizi di ristorazione gestiti da terzi (capitolo 130 «Beni, servizi e spese diverse») ammontano esattamente a 5 milioni 310 mila euro. Di questi, a dirla tutta, i residui (cioè i soldi non ancora spesi) raggiungono 2 milioni 907 mila 649,74 euro. Fondi che comunque restano parcheggiati nella cassa di Montecitorio. Sulla stessa scia il Senato. Il capitolo è il numero 1.19. I pasti costano ogni anno 2 milioni 779 mila euro, di cui (capitolo 1.19.1) 1 milione 434 mila euro per i senatori e (capitolo 1.19.2) 1 milione 345 mila euro per i loro assistenti. Una cifra piuttosto alta, al contrario dello scontrino che resta in mano ai nostri rappresentanti, visto che i prezzi sono «politici». La buvette della Camera è più cara rispetto a quella di Palazzo Chigi. Se nella prima un caffè costa 70 centesimi, nella seconda bastano 55 centesimi. In effetti il menù del bar con vista su piazza Colonna è imbattibile: tè e infusi 80 centesimi, un apertivo 1 euro e 50, come un tramezzino. Davvero niente male per i politici che non avrebbero problemi a pagare il conto come gli altri cittadini. Ma, si sa, c'è sempre qualcuno più uguale degli altri. Dunque non bastano i 70 mila euro all'anno pagati dalla Camera per le macchinette del caffé, i 23.600 euro che servono per la manutenzione degli orologi del Palazzo, i 40 mila a carico del Senato per la lavanderia o i 2 milioni e 310 mila euro per telefoni e computer. Se a tutto questo si aggiunge il privilegio di andare in pensione prima degli altri potendo contare su assegni da favola, allora diventa evidente che ci vorrebbe un'inversione di tendenza. Soprattutto in tempi in cui le parole d'ordine sono «tagli» e «sacrifici». Si discute da giorni di chiudere le finestre per uscire dal lavoro per i dipendenti pubblici che hanno già i requisiti o di congelare gli aumenti di contratto per gli statali. Proprio loro rischiano di pagare il conto salato dei politici.

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