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Gianfranco Fini e Schifani cedono Mano pesante sugli sprechi

Gianfranco Fini

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Fini e Schifani cedono. E annunciano che a breve anche il Parlamento darà una decisa sforbiciata alle sue spese. La campagna martellante sortisce i suoi effetti: anche Il Tempo ha fornito nei giorni scorsi dati e capitoli sui quali si potrebbe, e forse anche dovrebbe, intervenire. Fatto sta che proprio mentre si annuncia una valanga di tagli anche al settore statale, i presidenti di Camera e Senato escono allo scoperto con una nota congiunta. Un fatto che capita solo in casi straordinari. Che cosa annunciano Fini e Schifani? Che si incontreranno la settimana prossima - per la precisione mercoledì - per cercare assieme e concordare dove ridurre le spese. Non saranno soli visto che all'incontro parteciperanno anche i rispettivi uffici di presidenza: vicepresidenti, parlamentari questori e segretari d'Aula accompagnati dai rispettivi presidenti dei comitati per gli affari del personale. Gianfranco Fini e Renato Schifani lo spiegano chiaramente nel loro comunicato congiunto nel quale spiegano di aver «convenuto sulla necessità che le Camere, nella loro autonomia costituzionale e dopo aver preso conoscenza degli interventi che saranno decisi dal governo, partecipino responsabilmente al contenimento della spesa pubblica reso necessario dall'attuale situazione economico-finanziaria». Dunque, non sarà il governo a decidere ma i due presidenti vogliono prima conoscere come l'esecutivo intende muoversi. Tuttavia qualche passo già era stato compiuto. Per esempio il Senato aveva già avviato autonomamente una sua linea di rigore e di contenimento della spesa. Nel bilancio di previsione 2010 appena presentato (e che deve essere esaminato dall'Aula) l'impegno era stato quello di non superare le spese dell'anno scorso (la bellezza di quasi seicento milioni di euro). Si era anche immaginato di operare un drastico taglio dei contributi destinati ai gruppi parlamentari arrivando addirittura a un vero e proprio dimezzamento: da 160 a 81 milioni di euro. Naturalmente si tratta di un primo giro di interventi a cui ne seguiranno altri. Almeno uno, quello annunciato dal ministro della Semplificazione, il leghista Roberto Calderoli, che ha proposto un taglio dello stipendio dei parlamentari per un 5%. Subito dopo si è messa in moto una gara tra deputati e senatori per ulteriori tagli. C'è chi parla di devolvere almeno tre mesnilità, chi immagina una riduzione strrutturale. Insomma, largo alla fantasia. Tra fantasia e fantasia non è da escludere che ci saranno anche sorprese per commessi, funzionari e dirigenti di Camera e Senato. La «Velina Rossa», un foglio che raccoglie le indiscrezioni che circolano in parlamento (solitamente molto bene informato), ipotizza anche un innalzamento dell'età pensionabile da 65 a 67 anni. E nel pieno del dibattito tra tagli e decurtazioni, a Montecitorio si discute ancora sulla scarsa produttività delle aule parlamentari. Al punto che il presidente della Camera è arrivato a denunciare un rischio paralisi. Un'uscita che non è stata digerita dal capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto, intervenuto in Aula per stigmatizzare le posizioni di Fini e difendere l'operato della commissione Bilancio, che boccia i provvedimenti senza adeguata copertura: «Il Parlamento non può legiferare in deficit altrimenti ripercorreremo le strade del passato che portano ad aumentare il debito pubblico. Questo lo diciamo sia a Fini sia a Franceschini», ha detto Cicchitto. La replica di Fini è arrivata immediata: «Ha preso un abbaglio, oppure fa finta di non capire».

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