Quello smog interiore dei bauscia
Verrebbe voglia di fargliela sparire da sotto il naso, Roma. Che farebbero i milanesi se un giorno dovessero scoprire che la «Capitale infetta» è stata sottratta alla loro vista? Che ne sarebbe allora di quel loro sentimento altezzoso, intriso d'odio soffuso, di malumori combusti contro la Città Eterna, quel tristissimo rivendicare una superiorità morale che impatta sempre sulle scivolate da bauscia? È come se Milano fosse perennemente coperta da uno smog interiore, una patina d'accidia dietro cui si intravede distintamente un penoso senso di subalternità a Roma. Condannati ad essere secondi dalla Storia, provano a rivalersi in altro modo. Sentendosi campioni del lavoro, sbandierano la loro presunta operosità contrapposta all'indolenza capitolina. E diventano subito macchiette da freddure, caratteristi da cinepanettoni vacanzieri, cummenda da antologia come quelli del "Vedovo" sordiano. Predicano l'understatement, millantano l'eleganza dei modi, si impancano a depositari dell'edonismo da aperitivo in Galleria, uno sprizz e un "figa!", e passa l'happy hour. La loro gestione della Finanza è spesso allegra, da quando Cuccia è solo un compianto spettro, e non più il deus ex machina che legava con fili invisibili e saldi la trama del capitale. Agognano il secessionismo e mandano qui bivacchi di manipoli leghisti: che in un amen si trasformano, accaldati e folkloristici, nei più gaudenti fra i magnaccioni intorno al Palazzo. Rivendicano il primato sportivo, ma non sanno vincere, neanche con una trapunta di scudetti sul petto. Quando a sbagliare è Totti, reo (e nessuno può negarlo) di aver offerto una pessima immagine di sé con un calcione a quell'esempio di modestia e bon ton che è Balotelli, eccoli sputazzare contro il coatto, il giuggiolone di talento che non sa imboccare il viale del tramonto, il romano che nun ce vole stà. Poi si impongono in campionato a mezz'ora dal fischio finale e invece di trastullarsi allegramente, eccoli esporre sul pullman uno striscione contro il Pupone degno di un postribolo. Quel che è peggio, non si trattava di ultrà, ma di calciatori - colleghi di Totti - che con i milioni che guadagnano ogni anno potrebbero iscriversi a un corso minimo di educazione civica. Attenzione: i milanisti non sono meglio degli interisti, come dimostrava un altro striscione su un altro pullman, dopo una Champions vinta. Guerre intrameneghine, allora, ma emblematiche di un caratteraccio condiviso, peggio delle faide tra romanisti e laziali. Si dirà: maccheccefrega, sono siparietti pallonari. Passano poche ore, e Bossi annuncia: «Trascinerò Berlusconi dalla parte di Venezia per le Olimpiadi 2020». Ed eccolo lì, il Regno Lombardo-Veneto contro i papalini, la nuova frontiera del revanchismo nordista, la criptomilanesità che si diffonde, con tutte le sue variabili etno-linguistiche e legioni di sudditi adoranti, dal Monviso alla Laguna. Sognano i Giochi lontano dalla Capitale, tra maree, vaporetti e opere scritte sull'acqua. Come quelle dell'Expo 2015, assegnata proprio all'efficientissima Milano, dove in queste ore combattono con l'evidenza dei ritardi sui progetti, e ancora brigano per acquistare le aree su cui ospitare l'evento, non è chiaro con quali fondi. Chissà. Milano gambe aperte, cantava Dalla.