Prima delle tasse via gli sperperi Ecco dove tagliare nel palazzo
Prima di mettere le mani nelle tasche degli italiani, ecco dove tagliare: i costi della politica. Esorbitanti, incomprensibili, senza pari in tutto il resto del mondo. Soltanto per rimanere in Europa, le Camere basse di Germania, Francia, Spagna, Regno Unito spendono, insieme, quasi quanto la sola Italia. Da noi un deputato o un senatore costa il doppio che in Francia e Germania. Viaggi, ristoranti, telefoni, auto blu e tutta una serie di benefici da albero della cuccagna. Partiamo dal Senato. Gli stipendi: altro che rinunciare a tre mensilità o al 5 per cento, come proposto da alcuni parlamentari. Per le indennità dei senatori paghiamo quasi 50 milioni di euro all'anno. Poi ci sono i rimborsi: la diaria (15 milioni e 600 mila), le spese di viaggio (quasi 5 milioni), telefoni e computer (2 milioni 310 mila euro). In tutto fanno circa 24 milioni. Pranzi e cene dei senatori costano agli italiani quasi 1 milione e mezzo all'anno, al quale va aggiunto un altro milione e 345 mila euro per i pasti del personale. Altro capitolo le auto blu e, in generale, i trasporti. Il Senato spende ogni anno 7 milioni 752 mila euro, di cui 5 milioni per i rappresentanti in carica e 705 mila per i noleggi delle vetture. Ma ci sono anche gli ex. Si sa l'Italia è un Paese solidale. Così quelli che erano senatori, anche se non lo sono più, godono ancora dei privilegi. Costano, solo per il trasporto, 1 milione 810 mila euro all'anno. Ma questo è nulla perché non avranno più una poltrona ma hanno diritto al vitalizio (diretto o di reversibilità): 81 milioni 250 mila euro. Pesano sul bilancio i contratti di locazione (più di 5 milioni di euro) e le spese (acqua, luce e gas): 3 milioni di euro. Costano cari anche la manutenzione, la pulizia, il controllo accessi, gli ascensori, la cura di giardini e piante, lo smaltimento dei rifiuti delle sedi istituzionali: 6 milioni 960 mila 400 euro per quattro anni. Subito dopo vengono gli affitti degli immobili: via dei Sediari, piazza Capranica, via del Tempio di Dia, via di S. Chiara, via del Melone, Largo Sapienza e Salita de' Crescenzi: 4 milioni 541.467 euro all'anno. Per le spese postali, solo di rappresentanza, vanno via 500 mila euro. Costano pure i supporti informatici: l'aggiornamento dei software 353.673 euro, il noleggio quadriennale dei computer fissi e delle stampanti (compresi gli accessori) 922.100 euro, il noleggio di 60 portatili 16.700, il potenziamento dell'interconnessione alla rete internet 20.880 euro, il noleggio, sempre per quattro anni, delle fotocopiatrici 330 mila. Poi c'è la manutenzione ordinaria, la conduzione dell'impianto di votazione elettronica dell'Aula, l'assistenza informatica alla presidenza: in tutto 171.510 euro nel 2009. L'assistenza tecnica per i telefoni arriva a 15.590 euro, quella per i software (per 5 anni) 792 mila euro. E dato che ai senatori non può mancare nulla, si spendono anche 91.200 euro per l'assitenza su piattaforma IBM PSP e 85.600 per «l'architettura alta affidabilità dell'infrastruttura informatica». Ovviamente il Senato noleggia anche il sistema di apparecchiature server IBM X460 e IBM X445 per la modica cifra di 136 mila 420 euro. Inoltre c'è la comunicazione. Anzi, come la chiama il bilancio, «l'interazione tra istituzione e esterno»: 200 mila euro per abbonamenti alle banche dati, quasi 1 milione e 850 mila euro per le agenzie di stampa, 158 mila per gli abbonamenti dei periodici on line. Ma chi dice che i senatori non lavorino abbastanza? Palazzo Madama spende 6 milioni di euro per la stampa degli atti parlamentari: chissà quante idee rivoluzionarie avranno messo nero su bianco i nostri rappresentanti. Per la riproduzione digitale di atti e documenti si spendono 860 mila euro e per i servizi quadriennali della Web Tv 121 mila e 800 euro. Infine ci sono le spese più piccole ma comunque significative: 59 mila euro per la lavanderia, 291 mila e rotti per pubblicazioni di rappresentanza, quasi 375 mila euro per «il servizio di fornitura e confezionamento del vestiario di servizio» degli assistenti parlamentari. Il personale non dipendente vale 21 milioni, i gruppi parlamentari 37 milioni, le spese per cerimoniale e rappresentanza più di 2 milioni e 800 mila euro, comprese le medagliette parlamentari. In tutto il Senato ci costa 575 milioni di euro all'anno. Passiamo alla Camera dei deputati. La locazione dei palazzi costa più di 36 milioni, l'affitto di posti auto e moto 1 milione e 600 mila euro, a cui vanno aggiunti 557 mila euro per «noleggio a lungo termine auto», 110 mila euro di carburante e lubrificante e 21 mila euro per la «manutenzione dei dissuasori», le colonnine che impediscono l'accesso alle auto non autorizzate nelle aree vicino a piazza del Parlamento. Oltre 6 milioni di euro se ne vanno per i pasti dei deputati e degli assistenti, 150 mila euro per il catering, 70 mila euro per la «fornitura di macchine da caffè e materiali di consumo». Le divise e le camicie dei commessi costano oltre mezzo milione, la lavanderia 20 mila euro. Ma non è tutto. Il «controllo della funzionalità e l'adeguatezza normativa delle aree attrezzate per fumatori» assorbe 48 mila euro. Gli orologi: fargli segnare sempre l'ora esatta costa 23.600 euro. Poi ci sono i corsi di lingue straniere per i deputati: 300 mila euro. Le agende vengono pagate 400 mila euro, i cartoncini e le buste personalizzate 292 mila, il guardaroba 75 mila euro all'anno. L'assistenza per il voto elettronico si porta via 180 mila euro, le consulenze 595 mila 983 euro. Le indennità dei deputati fanno la parte del leone: nel 2010 costeranno 94 milioni 540 mila euro. Restano invariate le spese per gli ex deputati mentre calano di un terzo, rispetto al 2009, quelle per i biglietti aerei e ferroviari: 800 mila euro. Lo stanziamento complessivo del bilancio della Camera per il 2010 è di un miliardo e 220 milioni di euro. Ma, oltre Camera e Senato, di Palazzi ce ne sono ancora tanti. Dal canto suo il Quirinale ha ridotto le spese per il 2010 di oltre 3 milioni di euro, attestandosi soltanto a 228 milioni di euro. Poi ci sono le Regioni e i Comuni. Soprattutto le Province che, nonostante gli annunci di imminente chiusura, sono ancora vive e vegete. E continuano a pesare sulle tasche dei cittadini.