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Politici "tutta casa" e famiglia

Case pagate da Anemone, il palazzo Via Emanuele Gianturco a Roma è sotto la lente della procura di Perugia.

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Il polverone creato dalla «lista Anemone» ha lasciato alle sue spalle una scia di detriti. Alcuni nomi si ripetono e, mentre gli inquirenti continuano il loro lavoro, non si escludono nuovi colpi di scena nell'inchiesta perugina. Considerando gli incarichi pubblici che ricoprono molti dei protagonisti dell'elenco, una delle parole più mormorate è «dimissioni». Ovviamente, c'è chi non vuole neanche sentirne parlare. Ad esempio, Altero Matteoli, che da giorni si definisce «amareggiato»: «Questo linciaggio mi ha proprio rotto le scatole», tuona dalle pagine de La Stampa. Il ministro delle Infrastrutture, in realtà, nell'elenco non c'è, la casa in cui vive non appartiene a un ente e - probabilmente - in questo momento non pensa certo a ristrutturarla.   Le indagini della procura di Perugia riguardano, però, uno dei suoi collaboratori, Ercole Incalza, funzionario del dicastero delle Infrastrutture. Durante alcuni interrogatori dell'architetto Angelo Zampolini con i pm, sarebbe venuto fuori un appartamento da più di 500 mila euro a via Gianturco, a Roma, comprato dalla «cricca» per la figlia di Incalza, quando lui era consigliere di Pietro Lunardi, allora ministro delle Infrastrutture. Lo stesso Lunardi, che ritroviamo peraltro nel libro mastro dell'imprenditore romano per alcuni lavori di ristrutturazione che sarebbero stati effettuati negli appartamenti di via Parigi, di via dei Prefetti e di via di S. Agata dei Goti. Se gli inquirenti perugini dovessero avere conferme sui presunti illeciti commessi durante le compravendite effettuate negli ultimi sei anni dagli indagati e da politici e imprenditori, a questo punto ci si potrebbero aspettare altre dimissioni «eccellenti».   Per ora, comunque, continuano a piovere smentite e chiarimenti sulla lista «nera». A quelle della giornalista di Mediaset Cesara Buonamici, dell'esponente Udc Michele Vietti e di Pupi Avati sono seguite quelle di altri nomi illustri. Claudia Mori, in qualità di legale della società di produzione cinematografica «Ciao ragazzi», ha precisato di non aver mai ristrutturato l'ufficio di viale Giulio Cesare tra il 2001 e il 2004, quando cioè aveva un contratto di affitto. Dei lavori sono stati effettuati negli appartamenti dell'ex parlamentare Publio Fiori, ma questi «sono stati oggetto di appositi contratti e il corrispettivo pattuito è stato versato con assegni dietro presentazione di regolari fatture», ha precisato lo stesso Fiori. A prendere le distanze dalla «cricca» degli appalti anche il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, che compare nell'elenco insieme alla figlia, con un perentorio «mai regali da Anemone», il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, e l'ex capo della polizia Gianni de Gennaro, che affermano di aver pagato ogni lavoro svolto dalle ditte dell'imprenditore indagato, e il giudice della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri che sostiene di non averlo proprio mai conosciuto. Sulle indagini in corso è intervenuto ieri anche il ministro Sandro Bondi che si chiede «per quanto ancora continuerà questo incivile e violento trattamento» su di lui e ha affidato al suo avvocato l'incarico di difendere la sua «onestà e onorabilità personale».

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