Grandi Opere, la manovra non le tocchi
{{IMG_SX}}Il partito antitaliano ha subito rialzato la testa alla notizia che il governo vuole varare una manovra da venticinque miliardi. Non soddisfatti dalla ripresa di affidabilità della nostra economia, riconosciuta dalla Commissione, dal Fmi, dalla Bce, da banche private e, soprattutto, dal mercato, c'è chi boccia quanto di buono e di tanto è stato fatto nel corso degli ultimi due anni, prendendo a demagogico esempio la manovra. Infatti, si sostiene: se siamo un Paese così in buona salute che bisogno c'è di risparmiare una somma così importante da richiamare alla memoria le manovrone di Amato e Ciampi? Innanzitutto questa manovra non ha le caratteristiche delle altre, perché non serve, come le precedenti, a impedire l'immediato crollo del sistema economico nazionale, ma al contrario a restare nel ristretto plotone di testa dei paesi con i conti in ordine. Che cosa accadrebbe se Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda decidessero e fossero in grado di realizzare i piani di aggiustamento che la comunità internazionale chiede in cambio della loro sopravvivenza? Accadrebbe che l'Italia scivolerebbe indietro nella scala dei paesi virtuosi che, proprio perché tali, contano. Il nostro tallone di Achille è il debito pubblico. È stato dimostrato, nella fase di crisi appena trascorsa, che è meno pernicioso di quello privato, ma costa e costa caro non solo economicamente, ma anche politicamente, perché abbassa la soglia di speranza e di sviluppo delle generazioni giovani e future. La Germania, anche per questioni interne, deve riappropriarsi del ruolo di poliziotta della moneta unica, e la Francia minaccia addirittura di uscire dall'euro se la Germania non torna ad assumersi le responsabilità legate al conseguito sviluppo industriale e finanziario. In realtà dopo un periodo di crisi da coabitazione il duopolio dell'asse franco-tedesco pensa a riproporre la propria leadership in una Europa a geometria variabile, grazie all'uscita di scena della Gran Bretagna. Il ministro Tremonti rappresenta oggi quel buon senso al governo che gli italiani hanno auspicato votando per Berlusconi e Pdl ed è a Tremonti che guardano fiduciosi in queste settimane di smarrimento. Il titolare dell'Economia sa che mai come in questo momento gli italiani possono capire che a tassazione invariata occorre incidere fortemente sulla spesa, non solo perché è giusto e doveroso in sé diminuire il debito, ma perché questo ci permette di agganciarci all'asse franco-tedesco, non come un grande Paese irrequieto e disordinato, ma come un grande Paese che ha i titoli per stare nella regia di comando. Occorre però chiedere al ministro Tremonti di aumentare se de caso la manovra a più di venticinque miliardi, ma di non bloccare gli investimenti. Gli italiani possono capire che a fronte della certezza del salario è possibile agli statali attendere ancora due anni per il rinnovo del contratto o che è meglio vedersi accreditata la liquidazione in due rate piuttosto che non vederla mai, ma non potrebbero capire la mancanza di fiato strategico, la promessa di un futuro certo, la crisi occupazionale conseguente al blocco degli investimenti. Il Ponte sullo Stretto si ha da fare, la Salerno - Reggio Calabria deve essere completata nei tempi sostanzialmente previsti, le nuove autostrade nel Lazio e in Lombardia devono essere realizzate, così come tante altre strategiche opere.