Onorevoli spreconi Ora dateci un taglio
La crisi dell'Eurozona, gli attacchi speculativi sulla moneta unica e il debito sovrano, il default evitato per un soffio della Grecia, hanno riportato tutti sulla terra, l'età dell'oro è finita. I Paesi con un forte debito (e l'Italia è tra questi) dovranno introdurre misure strutturali per tenere i conti sotto controllo. Fino all'altro ieri la voce «tagli» era bandita dal vocabolario della politica, insieme ad altre due che evocano scenari che fanno perdere voti: «tasse» e «sacrifici». Ora tutti hanno in mano le forbici, ma nello scenario italiano c'è qualcosa di speciale e imprevisto: le case a sbafo dei potenti, i lavoretti in edilizia «agevolata», fenomeni di piccola e grande corruzione del ceto politico e sottopolitico. Tutto questo emerge nel momento in cui il governo s'appresta a chiedere agli italiani qualche sacrificio, tenere il timone del Paese ben saldo e superare la boa della crisi. Il problema è che in condizioni normali i cittadini capiscono e si adeguano, ma in questo momento se ti presenti al bar con il biglietto da visita di un politico è facile che trovi qualche avventore un po' incazzato. La manovra s'ha da fare, ma il clima è pessimo. Ecco perché nella maggioranza si moltiplicano le proposte affinché la politica «dia l'esempio». Ma è proprio questo tipo di approccio che a mio avviso non funziona. C'è chi propone la rinuncia a tre mensilità, chi vuole il taglio del 5% dello stipendio e via così. È un crescendo parossistico che la dice lunga più che sugli intenti riformatori, sui timori e i fantasmi del Palazzo. Francamente, si può comunicare meglio e far bene una volta per tutte un lavoro di pulizia sui costi della politica. Basta avere la coscienza a posto, un po' di sangue freddo e responsabilità. Sembra poco, in realtà in questo momento è materiale che scarseggia. Berlusconi ha compreso benissimo che cosa sta accadendo. Il presidente del Consiglio in queste cose ha fiuto e chi lo descrive come un sultano lontano dagli umori del popolo non ha capito niente. Il Cavaliere ha realizzato in un lampo che vincere alla grande le elezioni regionali in queste condizioni gli è servito a poco: Fini continua a fare il finiano, i cacicchi del Pdl continuano a fare bischerate e c'è chi si fa prendere con le mani nella marmellata, la Lega si propone come unico partito della solidità, affidabilità e responsabilità. Il rischio di logoramento è alto. Per questo Berlusconi deve prendere in mano il timone della maggioranza e cominciare una traversata riformatrice non più rinviabile. Non basta dare un'aggiustatina ai conti, né contenere il leghismo. Serve uno scatto. Da dove si parte? Per essere credibili di fronte agli elettori quando si chiedono sacrifici, serve un taglio vero dei costi della politica. È una goccia nel mare della spesa pubblica, ma quella goccia in questo scenario fa la differenza tra uno statista e il resto della truppa. I tagli non si fanno con annunci alle agenzie di stampa (come accade in queste ore) ma ragionando seriamente sui numeri e il particolare contesto italiano. Un paio di cifre per capire e un po' anche indignarsi. A ciascun cittadino un parlamentare in Italia costa 16,3 euro, mentre in Spagna ne costa 2,1, nel Regno Unito 3,8, in Francia 8,1 e in Germania 6,3. Sono i dati di un'ottima ricerca pubblicata da Confindustria nel 2007, si riferiscono a uno scenario del 2005 ma sono pronto a scommettere che la situazione non è migliorata ma addirittura peggiorata. Lo stipendio dei parlamentari è cresciuto in termini reali, dal 1948 ad oggi, di quasi sei volte ed è di molti multipli superiore a quello di qualsiasi lavoratore medio. I rimborsi elettorali in Italia ammontano alla cifra di 200 milioni di euro l'anno. Inutile dire che siamo al primo posto nel mondo. Prima degli Stati Uniti e dei più importanti Paesi europei. Esistono oltre tremila società controllate dagli enti pubblici, un sottopotere che eroga circa 18mila gettoni annui di presenza. Ogni nuova provincia costa 50 milioni di euro all'anno e il loro costo complessivo è di sedici miliardi, impiegano 62 mila persone e i loro bilanci tra il 2000 e il 2004 sono cresciuti del 66 per cento negli ultimi anni. Non servono a niente, vanno abolite. Potrei continuare a snocciolare dati, cifre e analisi per ore e ore, ma correrei il serio rischio di far andare di traverso il pranzo domenicale ai miei lettori. Il messaggio mi pare chiaro: caro Cavaliere, qui non servono le forbici, ma l'ascia.