Truffa da 2 milioni, 27 rinvii a giudizio
Per quattro anni si sarebbero mesi in tasca due milioni di euro ai danni della Provincia di Roma. A truffare l'Amministrazione proprio chi lavorava presso quegli uffici e che addirittura ricopriva cariche istituzionali. Ne è convinta la procura della Capitale, che ha chiesto che finiscano alla sbarra 27 indagati, tra i quali consiglieri provinciali e titolari di società in cui i politici risulterebbero assunti. Il meccanismo, che sarebbe stato smascherato dagli inquirenti romani, fa riferimento a false attestazioni fittizie di lavori presso alcune società per ottenere così gettoni di presenza presso la Provincia di Roma. Il tutto grazie a «raggiri e artifici» compiuti da politici che ricoprivano o che ricoprono ancora cariche nell'Amministrazione. Tra questi risultano iscritti sul registro degli indagati, e ora rischiano di essere rinviati a giudizio su richiesta del pubblico ministero Assunta Coccomello, l'ex presidente del Consiglio regionale del Lazio Guido Milana (Pd), i consiglieri provinciali in carica Bruno Petrella (Pdl), Francesco Paolo Posa (Pd), Ruggero Ruggeri (Pd), e gli ex Massimo Davenia (La Destra), Angelo Miele (Sdi), Leonardo catarci (Pdl), Alessandro Coloni (Pd) e Stefano Di Magno (An). Truffa, omesso versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, falso e indebita percezione di erogazioni pubbliche. Questi i reati contestati, a seconda delle posizioni processuali, agli imputati dal magistrato, per fatti che sarebbero avvenuti tra il gennaio del 2002 e il dicembre del 2007. Gli ex e attuali consiglieri provinciali, in base a quanto accertato dalla procura, in concorso con dirigenti di diverse società, avrebbero stipulato «un contratto di lavoro subordinato con il quale venivano assunti alle dipendenze della società». Si sarebbe così instaurato «un rapporto di lavoro fittizio presso la stessa società, non avendo mai in realtà prestato» il politico «un'effettiva attività lavorativa». Così si sarebbe indotta «in errore la Provincia di Roma, poiché, avvalendosi delle norme che prevedono il rimborso a carico della Provincia di quanto corrisposto al consigliere a titolo di retribuzione dal datore di lavoro, per le ore o giornate di effettiva assenza del lavoratore dovuta allo svolgimento della funzione pubblica elettiva», le persone coinvolte nell'inchiesta «si procuravano un ingiusto profitto ai danni del medesimo ente, cagionando così un danno patrimoniale di rilevante entità».