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La svolta lenta: Casini taglia Fini Guarda al Pdl e apre sul federalismo

Il presidente della Camera Fini e il leader dell'Udc Casini

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Parlare di un rientro nei ranghi è ancora troppo. Ma la direzione è quella. Pier Ferdinando Casini procede a piccoli passi verso il centrodestra. Quello che si intravedeva già, subito dopo il risultato delle Regionali, è ancora più chiaro dopo la partecipazione del leader centrista a In mezz'ora di Lucia Annunziata. Certo, la puntata passerà alla storia per una battuta marginale dell'ex presidente della Camera: «Prima o poi credo che sarà inevitabile un governo di salute pubblica o di responsabilità nazionale». E non serve che gli uomini di Casini dicano per tutto il pomeriggio che il leader sarebbe disponibile oggi a sostenere finanche un governo di salute pubblica guidato da Berlusconi. Non serve. E i bipolaristi convinti di destra e sinistra insorgono. In realtà le parole di Casini di ieri contengono una novità non da poco ed è la porta in faccia sbattuta al Pd. A Veltroni che aveva parlato della fine dell'ipotesi di accordo tra Democratici e democristiani tanto cara a Bersani, il numero uno dell'Udc risponde netto: «Ha utilizzato una tesi autolesionista pur di contrastare Bersani, e io rispondo che se il Pd non vuole avere a che fare con noi, non posso che augurargli una buona opposizione per i prossimi 30 anni». La chiusura al Pd, seppur attaccando la minoranza, è un altro tassello verso il Pdl. I contatti con il centrodestra si sono moltiplicati nelle ultime settimane. Con Giulio Tremonti, per esempio. E con l'offerta a votare il decreto anticrisi greca. Oltre alla disponibilità a discutere di federalismo fiscale, che segna la fine di un altro caposaldo della politica casiniana: la sfida a contrastare la Lega. Sfida persa visto che Pier si proponeva a queste elezioni come l'alternativa e appoggiava tutti gli avversari dei candidati del Carroccio. Ma la batosta in Piemonte ha di fatto archiviato le velleità anti-Bossi. Dunque Casini, anche se non apertamente, riconosce l'asse tra il Cavaliere e il Senatùr. Asse politico che invece Gianfranco Fini vuole scardinare.   Il merito di questa conversione è Roberto Maroni, il silenzioso ministro leghista dell'Interno. Non è passato inosservato il Casini che poco prima delle Regionali s'era fermato ai banchi del governo, cosa che fa molto di rado, a parlare a con il titolare del Viminale. Il filo con la Lega non è mai venuto meno, ma anzi il rapporto si è fatto molto più stretto dopo il voto. Poi i contatti con Tremonti che sono diventati palesi giovedì scorso quando il ministro dell'Economia è andato alla Camera per un'informativa sulla situazione finanziaria: Pier era l'unico leader presente in Aula, Fini non c'era. Certo, sembrerebbe fare da contraltare a tutto ciò la situazione nel Lazio dove l'Udc ha scelto di non entrare in giunta. E invece anche questa è una posizione che va letta in controluce.   Intanto Casini non ha dato un assessorato a Luciano Ciocchetti, il segretario regionale, con il quale di recente non corre buon sangue. Ha sistemato con incarichi tutti e sei i consiglieri, controlla l'assemblea e si prepara ad aprire una partita più ampia in autunno. Dopo l'estate infatti verranno varati i decreti attuativi del federalismo fiscale e anche se si dovesse decidere di andare a due velocità (subito la devoluzione dei poteri poi la parte finanziaria) Gianni Alemanno, con il capitolo Roma Capitale, dovrebbe incassare subito. E dovrebbe così aprirsi a un nuovo e più corposo rimpastone. Casini è lì, pronto a incassare.  

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