Mara torna tra i berluscones «Manipoli minano il partito»
Non vanno più a pranzo assieme alla Camera. E non si vedono neppure parlottare sui divanetti del Transatlantico. Tra Mara Carfagna e Italo Bocchino non sembra esserci più il feeling politico di un tempo. Lei berlusconiana doc e lui ormai ultrà di Fini. Eppure i due sono legati da una vera amicizia. Mara, al suo primo giorno di Parlamento piuttosto spaesata ormai quattro anni fa, venne scortata dall'allora deputato di An. E fu anche lui a consigliarle di andare nella prima commissione, quella per gli Affari Costituzionali, quella più tosta e anche quella dove ci si fanno le ossa. Due anni di connubio politico che avevano portato la ministra persino a dire, in un'intervista ad «A» ancora nel febbraio scorso, a proposito della successione a Berlusconi: «Io dico Gianfranco Fini. Stimo Fini da sempre e prima di aderire a Forza Italia ho votato Movimento sociale e An». I due, Carfagna e Bocchino, sono andati a braccetto sino allo scontro plateale alla direzione nazionale del Pdl. La settimana scorsa la ministra ha dichiarato: «Non rinnego un'amicizia ma non sono affatto d'accordo con lui. Ora siamo su due fronti opposti: lo dico chiaramente». I rapporti tra i due saranno anche più chiari la prossima settimana quando la Carfagna dovrà nominare il suo nuovo capo dipartimento. In pole position c'è Massimo Condemi, che Bocchino conobbe quando fu capo di gabinetto al ministero delle Comunicazioni (dove il capo dell'ufficio legislativo era invece Francesca Quadri, oggi alla guida dello stesso ufficio delle Pari Opportunità). Condemi oggi non è più in buoni rapporti con Gasparri che lo volle alla testa del suo staff. Ma più che il rapporto con Bocchino, quello della ministra è un lento rientrare nei ranghi berlusconiani dai quali si era in parte affrancata. Era la ministra preferita di Berlusconi che di lei dice sempre che «è una che studia». L'avrebbe voluta portavoce del governo, ma si sarebbe andata a sovrapporre al portavoce del premier, Paolo Bonaiuti: nel governo c'erano troppe resistenze e il Cavaliere soprasedette. Avrebbe potuto fare il presidente della Regione Campania, ma Berlusconi ha preferito anche per gli equilibri interni Stefano Caldoro. Allora lei ha accettato la sfida e s'è lanciata come capolista in una missione che sembrava più un suicidio. S'è candidata a Napoli, che non è la sua città (viene da Salerno), e con gran parte del partito contro: ne è venuta fuori con quasi 60mila voti, la più votata. E così ha dimostrato di essere l'unica ministra ad aver avuto un successo così clamoroso in un'elezione in cui bisogna scrivere il nome del candidato sulla scheda. Sembrava essersi affrancata da Berlusconi. Lui non l'ha presa bene e ha chiesto a lei e a tutti gli altri di schierarsi apertamente, non è più tempo per posizioni neutre. Non a caso ieri, in un messaggio inviato al convegno per la commemorazione della scomparsa di don Gianni Baget Bozzo, ha ribadito che «incrinare l'unità del Pdl per tornare alle ritualità della vecchia politica politicante sarebbe un errore imperdonabile. A questa prospettiva mi opporrò con tutte le forze». E proprio ieri Mara ha difeso il Pdl: «Da Roma a Lampedusa ci sono sul territorio manipoli di scellerati che remano contro il partito».