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Ma Garibaldi è un italiano che ha vinto

Un'immagine di Giuseppe Garibaldi

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Non sopportano Garibaldi, perché è un italiano che ha vinto. Invece loro sono i profeti del vittimismo, sono i piagnoni del "declino dell'Italia", sono i provincialotti che guardano al campanile senza ascoltarne il din-don universale. Sempre gli stessi, centocinquant'anni dopo. Un po' snob e un po' leghisti, salotti e bar sport: dai che è divertente il "facciamoci del male". L'idea che la Nazionale di calcio abbia conquistato il Mondiale in Germania, che la Ferrari possa sorpassare gli altri, che Andrea Bocelli sappia emozionare le platee internazionali con la canzone e Dante con la poesia, la realtà che il mondo mangi, vesta e adori lo "stile di vita" italiano, li infastidisce. Perché deturpa il cliché, perché cancella il pregiudizio che essi soli si sono costruiti, secondo cui non possa esistere una "grandezza" italiana. Hanno abolito perfino il vocabolo in italiano: dicono "grandeur", Lorsignori. Ma Garibaldi rispecchia proprio il senso antico e moderno della grandezza italiana, che non è conquistare, ma liberare - e lui ha liberato i popoli -, che non è dividere, ma unire: e lui ha unito l'Italia. Grandezza di valori, che un uomo di valore ha interpretato, in patria e all'estero, con semplicità e con romanticismo, cioè all'italiana. Soltanto Anita poteva chiamarsi la donna della sua vita e delle sue avventure. Ecco, anche l'idea che gli italiani siano capaci di grandi sogni, e non solo di grandi cose, disturba gli anti-garibaldini a scoppio ritardato. Se ieri gli azzurri avessero perso la finale del pallone coi francesi, se oggi i migliori piloti di Formula uno avessero evitato la Rossa, e il rosso Valentino fosse passato di moda, e Valentino Rossi si fosse stufato di primeggiare, i detrattori di Garibaldi sarebbero contenti. Perché potrebbero farci la morale sul Paese che non funziona, e raccontarci la favola dell'Italia superata dalla Spagna nell'economia (o ce la siamo già dimenticata?), e la nenia del "tutta colpa dello Stato" e di Roma ladrona. Ma Roma è un canto universale. Denigrano Garibaldi, dunque, perché quella barba è più seducente della barba del Che. E quello sguardo va più lontano dello sguardo di Napoleone. E quell'impresa, italiana e internazionale, è più retta e umana - l'Umanesimo italiano - di tutte le rivoluzioni che si sono poi tragicamente succedete in Europa e fuori. Non "sentono" Garibaldi, costoro, perché l'italianissimo ebbe famiglia straniera: moglie e un figlio brasiliani, più tre figli uruguaiani. Già allora l'eroe dei due mondi capiva che l'italianità si esalta nell'universalità, che nessuno è "straniero", quando vive accanto a un italiano. Garibaldi uomo del nostro tempo: coglieva la ricchezza degli altri, lui che viveva senza agi. Parlano male di lui, perché è più facile che parlarne bene. Chi ne conosce le gesta, non ha voglia di rispondere ai gestacci. Ma ha ragione il presidente Giorgio Napolitano: festeggiare un padre della patria, non significa perdere tempo né soldi. Ricordare che Garibaldi è un esempio anche in quest'epoca assai poco esemplare, non è retorica. Ripercorrere le sue vittorie e il suo esilio, rivivere i suoi viaggi e la sua solitudine, ammirare il suo coraggio e comprendere le sue amarezze, non è volgere la testa all'indietro, ma scoprire la vitalità del futuro. Garibaldi dimostra che perfino la politica può essere nobile, se nobile è il sogno che l'anima. Sogno di libertà, innanzitutto. Quel marinaio e combattente stava sempre dalla parte opposta delle tirannie. Stava col Dalai Lama, con l'onda verde, con gli esuli cubani. Ma sarebbe stato anche con gli haitiani che soffrono la fame e l'oblio. Faceva sempre la cosa giusta. E allora l'unità d'Italia, arrivata tardi rispetto alla millenaria lingua italiana, che è la radice e la melodia dello stare insieme, è l'evento più bello che condividiamo dal 1861. Garibaldi riassume il vecchio e il nuovo, il pensiero illuminato e la fede nell'Italia, la giustizia sociale e l'indipendenza nazionale, la genialità del Rinascimento e il mito di Roma antica. È un italiano dell'Ottocento, ma è l'italiano di sempre. Per questo gli vogliamo bene come a un padre o come a un nonno, del quale siamo felici d'essere figli dei figli.

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