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Scajola lascia: sono stato superficiale

Claudio Scajola annuncia le sue dimissioni da ministro dello Sviluppo economico

Napolitanno affida l'interim al premier

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L'immagine del giorno è Claudio Scajola che sale lo scalone centrale del palazzo disegnato da Piacentini. Passa davanti alla grande vetrata di Sironi che domina la sede del ministero dello Sviluppo Economico e prende il braccio di scale di destra che porta dritto al suo ufficio. Scajola non è affranto, è sollevato. Rasserenato. Attorno a sè i suoi fedelissimi. Abrignani, Orsini, Scandroglio, si rivede Lauro. La neoconsigliera regionale Santini. Ci sono i figli e pochi altri. Ecco, sollevato. Come un uomo che sente di aver fatto quello che doveva fare. E ha deciso da solo, al massimo con pochi intimi. La conferenza stampa convocata ad horas è appena terminata nel parlamentino del palazzo al pian terreno e non alla sala degli Arazzi al primo piano, la sala di rappresentanza del ministero, perché tutto è stato organizzato troppo in fretta, con un sussulto della notte. Scajola arriva nel suo ufficio, si siede nella poltrona dietro la scrivania, tira un sospiro: «Volevano le dimissioni? E gliel'ho date. Volevano chiarezza? E gliel'ho data. Ora sono io che voglio andare fino in fondo, sono io che voglio tutta la chierezza del mondo, sono libero di potermi difendere». E che cosa aveva detto poco prima? Nell'incontro con i giornalisti si difende dal caso dell'appartamento vista Colosseo che secondo i pm sarebbe stata pagata 600mila euro dall'ormai ex ministro e per 900mila euro in nero dall'architetto Zampolini con soldi del costruttore romano Anemone. Scajola non ci sta: «Non posso avere il sospetto di abitare una casa non pagata da me». Poi aggiunge: «Per difendermi non posso continuare a fare il ministro come ho fatto in questi due anni». Quindi entra nel merito delle accuse: «Non potrei mai abitare in una casa comprata con i soldi di altri». Quindi si mantiene sul filo: «Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per l'annullamento del contratto». Ma le questioni legate all'inchiesta sembrano andre in secondo piano. Prevale l'esigenza di difendere sè stesso, la sua onorabilità, il suo nome. E soprattutto lo stile. «Ecco, mi sono dimesso. Quanti lo fanno?», insiste con i suoi collaboratori l'ex titolare dello Sviluppo Economico mentre resta nel pomeriggio in ufficio a firmare gli ultimi documenti, i dossier ancora aperti e preparare la successione a chi verrà. C'è poi un capitolo a parte. E cioè riguarda un passaggio della conferenza stampa dichiara la solidarietà anche di Berlusconi. Ma fino a quel momento i due non si erano ancora incotrati seppure s'era diffusa la voce di un appuntamento in mattinata. Premier e ministro si vedranno soltanto dopo pranzo e solo allora il Cavaliere gli tributa un «Oggi si è dimesso un ministro molto capace». Nel pomeriggio infine la difesa finale, nello studio di Porta a Porta: «Se ho una colpa è quella di essere stato troppo superficiale», dice, ammettendo di aver «difficoltà a ricostruire tutta le vicenda». Scajola chiarisce: «Non so se Zampolini ci fosse o meno; quello che so lo sto leggendo dai giornali e da quello che ricordo. Sono passati sei anni (dal momento del rogito, ndr). C'erano il notaio le sorelle e altre persone, parlano anche di un funzionario di banca, può darsi». Sugli assegni che sarebbero arrivati da Anemone, Scajola mette in chiaro: «Sarebbe illogico, una cosa assolutamente cretina. Sarà avvenuto prima o dopo» il rogito. «Certamente non in pubblico, alla presenza mia e del notaio», è la chiosa finale.

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