Ora Silvio vuole un tecnico
Il giorno dopo le dimissioni di Scajola nel Pdl l'agitazione è ancora alta. Con il nodo della successione da sciogliere, con nuovi filoni d'inchiesta che si abbattono sui vertici di via dell'Umiltà, con le polemiche che non si placano, con il lavoro del governo praticamente fermo. Il presidente del Consiglio assume l'interim del ministero dello Sviluppo economico. Per quanto tempo non si sa. Lo stesso premier annuncia che potrebbe anche durare mesi. All'interno del governo però, sono pronti a giurare che vista la delicatezza e l'importanza dei dossier sul tavolo del dicastero di via Veneto, Berlusconi dovrà pensare molto presto ad un sostituto. Nel frattempo continua il valzer dei papabili con tanti nomi sul tavolo, che però se interpellati sulla questione, fanno spallucce e replicano: «No comment». E così la previsione del giorno prima è stata rispettata. Dopo le dimissioni di Scajola, la guida del dicastero di via Veneto passa al premier. Un passo formalizzato al Quirinale con la firma apposta da Giorgio Napolitano, in calce al decreto con il quale si accettano le dimissioni e si affida l'interim allo stesso presidente del Consiglio. All'incontro tra Napolitano e Berlusconi erano presenti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e il segretario generale della presidenza della Repubblica, Donato Marra. Mentre monta il totonomi per il successore, intanto da ambienti di Palazzo si spiega che l'interim avrà tempi brevi. Il nome più insistente resta quello di Paolo Romani, anche se, raccontano fonti di governo, il viceministro alla Comunicazione non avrebbe il pieno gradimento degli imprenditori. Motivo ulteriore per il Cavaliere di guardare oltre, magari ad un tecnico, che sia «fuori dalla politica». In realtà, sempre secondo indiscrezioni, sarebbe già stato fatto un primo tentativo con Luca Cordero di Montezemolo, tentativo però fallito. E ora spunta anche il nome di Luisa Todini, imprenditrice umbra da tempo considerata vicina al presidente del Consiglio. La scelta finale si prevede possa arrivare già la prossima settimana. Un segnale rassicurante, rispetto alle dinamiche interne alla maggioranza, è lanciato al premier dal ministro delle Riforme e leader della Lega, Umberto Bossi, secondo il quale nella scelta del successore Berlusconi ha «la mano libera, a noi interessa il programma, non ci interessano i posti». La partita è abbastanza complessa dall'aver influenzato anche la visita di Berlusconi al Colle. Nell'incontro, durato circa quaranta minuti e definito cordiale, Napolitano ha firmato il decreto in cui si accettano le dimissioni e si affida l'interim al premier. Il presidente del Consiglio avrebbe spiegato al capo dello Stato di essere stato «colto alla sprovvista» dalle dimissioni di Scajola, di non avere intenzione di mantenere a lungo nelle sue mani la responsabilità del dicastero, ma allo stesso tempo avrebbe chiesto «più tempo» per presentare il nome del nuovo ministro. In particolare, il premier avrebbe parlato di spinte contrapposte all'interno della maggioranza e della necessità di cercare una «soluzione di sintesi» che metta d'accordo tutti. L'altra sera Berlusconi aveva anticipato ad alcuni senatori, invitati a cena a Palazzo Grazioli, la propensione ad assumere l'interim. Il Cavaliere ha ribadito davanti ai senatori presenti la «solidarietà» al suo ex ministro e ha esternato i suoi timori: «Ho accettato le sue dimissioni per permettergli di difendersi liberamente. Ma temo che questo sia solo il segnale di un disegno più ampio, di una manovra molto più larga con cui colpire il governo». E, poi, il rischio è che il caso crei un precedente, visto che un ministro «non indagato» è stato costretto alle dimissioni. Un concetto ripreso anche da un alto esponente di governo: «Ora che succederà? Per esempio con Verdini?». C'è poi un'altra questione di cui si vociferava ieri nel Transtlantico della Camera. L'esigenza a questo punto di andare avanti con le cose da fare. «Abbiamo approvato il ddl anticorruzione parecchio tempo fa? Perché non lo portiamo a termine?». Il ragionamento è: non si può rimanere a bagno maria. Occorre portare a termine le riforme. Alla cena di Palazzo Grazioli c'è spazio anche per parlare del rapporto con Gianfranco Fini: «Continua ad andare in tv e a dire cose sgradevoli nei miei confronti. Vuole fare dialettica interna, ma non siamo alla politica di trent'anni fa...». In ogni caso, ha concluso il Cav «continuo a non capire perché voglia andare per conto suo».