"Gianni non va, almeno Walter..."
Caro Direttore, ho letto l’articolo di Marlowe sul bilancio dei due anni di gestione Alemanno in Campidoglio. Lo sottoscrivo. E vorrei aggiungere qualcosa. «Roma all'attacco» recita un manifesto che impazza in questi giorni su tutti i muri della Capitale. Dovrebbe celebrare il secondo anniversario di Gianni Alemanno sindaco di Roma, ma lo slogan e l'immagine del primo cittadino producono l'effetto contrario. Riportare alla memoria dei romani che al Campidoglio siede da ormai un biennio il primo sindaco di destra, quello che aveva promesso la grande svolta e la rinascita della capitale è stato forse imprudente. Meglio valeva lasciar correre. Roma infatti non è all'attacco e non sembra neppure in gioco, mentre il suo sindaco ha forse un ruolo visibile nello scontro tra Berlusconi e Fini ma non certo in quello tra i romani e il degrado della loro città. Intendiamoci, Roma non è diventata un girone infernale dove si rimpiange il paradiso rutellian-veltroniano. Roma è semplicemente sempre la stessa, vi si ripetono gli stessi errori, vi riecheggiano le stesse promesse, vi si vivono le stesse delusioni di sempre. Il punto, a due anni dall'elezione di Alemanno, è tutto qui. Le cose non sono cambiate e non vi è alcun segno sostanziale che annunci nuovi orizzonti. Durante il primo anno a tutti gli osservatori era stato chiesto di sospendere il giudizio. Sembrava ragionevole: tali e tanti erano stati i disastri – materiali e morali – delle giunte precedenti che il nuovo sindaco meritava un'ampia franchigia. Ma il secondo anno è passato e il messaggio di Alemanno e del suo entourage è ancora quella della "pesante eredità veltroniana". Nessuno pretendeva miracoli. Non ci aspettavamo di vedere il traffico circolare, la spazzatura essere spazzata, le opere pubbliche cominciare ad operare, lo sviluppo a svilupparsi, la sicurezza ad essere assicurata, tutto in un battibaleno. Avremmo però voluto un passo nuovo, un nuovo racconto della città. Non c'è governo – locale o nazionale e persino planetario - senza una pubblica narrazione. Prima ancora del "fare", i cittadini vanno conquistati con un'idea, con una trama e possibilmente con un lieto fine. Rutelli e Veltroni questo l'avevano: si erano conquistati l'immaginario dei romani con una città virtuale fatta di suoni, lustrini e stelle filanti. Tutti si sentivano partecipi di un sogno dove le star di Hollywood passeggiavano a braccetto con la sora Lella sotto i portici di Piazza Vittorio, i tassisti declamavano il Belli ai loro passeggeri, dalle fontane spillava chinotto e gazzosa e i migliori architetti del mondo passavano notti insonni a immaginare inutili ma stupendi regali per Roma. Il sogno ha funzionato a lungo, mentre Roma in realtà restava sempre la stessa. E infatti il tracollo poi è stato fragoroso. Così è arrivato sulla scena Alemanno, l'uomo che avrebbe raccontato ai romani un'altra storia. Basta con le fiere, i mega concerti, le estati romane, lo spolvero del red carpet de noantri all'Auditorium, le piazze "riqualificate" dagli architetti di grido e subito dimenticate, le terrazze romane. Alemanno aveva in serbo qualcosa di nuovo. Una città fatta per chi ci vive e ci lavora, che ha la priorità di funzionare e di non essere il teatro quotidiano della fatica e dello sconforto. Ma questa promessa, questo racconto non c'è stato, non si è sentito. I romani volevano credere in una nuova idea della loro città ma questa è rimasta chiusa nel bozzolo di una giunta esitante e frastornata e di un sindaco che forse guarda verso altri orizzonti.