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Fini, la linea dura bocciata dai suoi

Gianfranco Fini

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Processano Bocchino per processare la linea dura di Fini. Il presidente della Camera riunisce i suoi fedelissimi nella sala Tatarella, di cui Italo fu il più stretto collaboratore, nella sede del gruppo parlamentare Pdl. E intanto si ritrova davanti una quarantina (il conto è indicativo visto che l'intera zona è off limits alla stampa) di parlamentari invece dei 54 che hanno firmato il documento in suo sostegno. Certo, è lunedì: non c'è attività parlamentare. È anche vero che è il giorno dopo il 25 aprile, c'è chi è andato via per una breve vacanza. Di sicuro non c'era Amedeo Laboccetta che è stato ricevuto da Fini privatamente un'ora prima dell'incontro. Il deputato napoletano, romualdiano, ha una storia che si intreccia mille volte con quella di Fini: votò per lui nella prima elezione di Gianfranco a segretario del Msi nell'87, contro di lui e per Rauti nel '90 e poi di nuovo per lui nel '91. Da allora una grande amicizia soprattutto personale più che politica. Ieri Laboccetta, che domenica aveva scritto una lettera contro Bocchino, è andato nello studio del presidente e ha pronunciato il suo «non ci sto»: «Ho espresso le mie preoccupazioni per la strada intrapresa, non credo nelle correnti e quindi le nostre strade si separano. Io resto un amico di Fini - racconta il parlamentare - ma ho il pregio di parlare chiaro: questa fase non mi convince, nel Msi ho fatto parte della corrente dei romualdiani e non penso che questa sia la strada da percorrere. Fini la pensa diversamente e che cosa farà lo saprete al termine della riunione». Di qui le accuse a Bocchino, «un uomo di rottura che fa millantato credito perché io non mi faccio rappresentare da lui. Ha fatto una lettera di dimissioni che in realtà è finta e secondo me dovrebbe dimettersi veramente». Nella sala il tono non è teso, anzi. I partecipanti parlano di un clima generalmente rasserenato. Ma c'è chi è più esplicito come Roberto Menia: «Dopo l'atto di fedeltà, vorrei capire dove si va a sbattere. Qual è la strategia? Siamo passati da ipotesi di gruppi autonomi ad una non definita area di minoranza - insiste il sottosegretario all'Ambiente -. E Fini, da leader di An a capo di una piccola minoranza. Ne valeva la pena?» Menia chiede poi che siano «licenziati i vari Campi (Alessandro Campi direttore di Farefuturo, ndr), che parlano di governi tecnici, perché siamo leali al governo e non ribaltonisti». Sulla linea della mediazione ci sono anche Andrea Augello e Pasquale Viespoli, i due sottosegretari che guidano la truppa dei senatori. Il primo ha lanciato una sorta di «arcipelago delle idee» dove discutere, il secondo aveva già nei giorni scorsi bollato come «finioti», coloro che si ritengono interpreti del pensiero oltranzista del presidente della Camera. E ora avverte: «Berlusconi che è lungimirante prima o poi si accorgerà che il tentativo che stiamo cercando di realizzare è quello di radicare il Pdl». Mediatore anche Silvano Moffa, il quale non si definisce «colomba bensì aquila, volo alto e credo che lo facciano anche Berlusconi e Fini». In sintesi sono per la mediazione tutti coloro che che hanno voti, provengono dal territorio, sono legati alla base e hanno una solida cultura coalizionista anche perché sono o sono stati al governo. Sognano la linea dura e scissionista o comunque autonomista tutti coloro che «pensano», politologi, giornalisti, intellettuali, visionari. Come Bocchino appunto. Come Fabio Granata. Come Adolfo Urso (che ieri era assente giustificato) o come appunto Alessandro Campi. Su Bocchino poi si sommano anche questioni che di politico hanno poco. È il più giovane del gruppo, con i suoi 42 anni. Per molti era il ragazzo di Tatarella, l'addetto stampa del gruppo e uno dei leader dei giovani. Ora se lo ritrovano a capo della costituenda componente finiana e c'è chi ne fa una questione d'orgoglio e non si vuole mettere sotto le sue disposizioni. Poi c'è ancora un altro elemento. E cioé che è davvero arduo pensare che il vicecapogruppo abbia agito, anche sulla linea degli strappi, da solo. Senza avallo del capo. Senza averlo consultato. Una autentica sciocchezza per chi ha un minimo di dimestichezza con il mondo finiano. E allora Italo finisce per fare il capro espiatorio interno anche perché nessuno ha il coraggio di attaccare direttamente Fini e la sua minaccia di costituire gruppi autonomi o lavorare per una corrente organizzata sul territorio. Quel che è sicuro però è che Fini da ieri ha compreso. Ha compreso che insistere su quella strada non serve e sempre in meno lo seguiranno.

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