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Una proposta indecente

Pierluigi Bersani

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Al terzo giorno Dio creò la terra e il regno vegetale, Pier Luigi Bersani più modestamente ha pensato all'ammucchiatissima contro Berlusconi. Tutti insieme contro il mostro di Arcore, Fini compreso. La proposta indecente del segretario del Pd arriva alla vigilia del 25 aprile. Forse pensava di costituire un nuovo Comitato di liberazione nazionale, forse voleva sentirsi un po' il partigiano che lotta contro l'invasore, forse. La sola certezza è che l'uscita di Bersani ha creato un problema a Fini, il quale ha incaricato Italo Bocchino di bollare la proposta dell'opposizione come una questione di «fantapolitica». Fini ha ben altro in testa. Non può costituire un gruppo parlamentare (non ha i numeri), ma la campagna contro Silvio può farla, eccome. Oggi ne avremo un assaggio a «In mezz'ora», il programma di Lucia Annunziata su Rai Tre. Note di colore a parte, la sortita bersaniana ha dei punti interessanti da analizzare. Perché il timoniere del Pd si preoccupa così tanto? Cosa non gli fa dormire sonni tranquilli? A cosa mira? Settantadue ore dopo la direzione a torte in faccia tra Berlusconi e Fini, la politica ha già bisogno di un defibrillatore. Fini sapeva di innescare un meccanismo a orologeria sotto la poltrona del presidente del Consiglio e sta agendo di conseguenza. Non badate alle dichiarazioni rassicuranti dei finiani, né ai discorsi istituzionali del presidente della Camera. Mai come in questo caso le parole sono uno schermo, un velo che prima o poi cadrà. Vediamo di fare un minimo di ordine e di capire chi sono i protagonisti nel cartellone di quest'opera buffa. 1. Gianfranco Fini s'è messo nella condizione del personaggio che «tutti lo vogliono». È desiderato, coccolato, vezzeggiato, lisciato dai nemici di un tempo ora in cerca di un Cavallo di Troia da far entrare nella fortezza berlusconiana. Per settimane lo vedremo nella parte di colui che deve salvare l'Italia dalle grinfie del Cavaliere Nero. Dal punto di vista della comunicazione - e oggi in tv ne avremo la prova - è nella posizione del cecchino. 2. Pierluigi Bersani è nelle condizioni di chi non sa più che pesci pigliare. Il presidente della Provincia di Roma, il democratico Nicola Zingaretti, ha fotografato perfettamente cosa sta accadendo al Pd che rischia «di non riuscire più a occupare uno spazio politico e di lasciare la scena per intero al centrodestra». Questo in realtà è già avvenuto e il Pd è un sandwich, stretto tra la sua ala sinistra (Di Pietro e gli arrabbiati vari) e la destra che non gli lascia toccare palla. Bersani ha avuto la pensata di lanciare una chiamata alle armi che sarà destinata al fallimento. Fini non ha nessuna intezione di unirsi - per ora - alla sua combriccola. Il presidente della Camera ha altri progetti, vuole logorare il Cavaliere da dentro, una talpa che scava e poi si vedrà dove sbuca. La sola calamita che può unirli è rappresentata dalle elezioni. Entrambi ne hanno una fifa blu e in caso di voto anticipato potremmo vedere capriole politiche spettacolari. 3. Francesco Rutelli è nella fase del pescatore da tempo. Bocciato dagli elettori nella sua Roma, ma con qualche risultato apprezzabile nel Meridione, l'Api cerca di volar di fiore in fiore. Francesco ha prontamente telefonato a Fini, poi corteggia Luca Cordero di Montezemolo e si scambia visioni con Pier Ferdinando Casini. Gli è toccato perfino fare un accordo da ascensore con i liberali di Valerio Zanone e i democristiani di Publio Fiori. Insomma, fa quel che può in uno scenario in cui per i piccoli senza marchio consolidato e territorio seminato non c'è trippa per gatti. 4. Antonio Di Pietro gioca al gatto con il topo e la parte della preda nel suo passatempo preferito la fa il Pd. A Tonino non importa un fico secco dell'alleanza contro Silvio, a lui interessa fagocitare voti ai democratici e qualsiasi mossa favorisca questo disegno ha il suo appoggio. Tirerà fuori il pallottoliere, vedrà se gli conviene e deciderà di conseguenza. 5. Pier Ferdinando Casini osserva con il binocolo e stavolta non può sbagliare mossa. È uscito dal Pdl scommettendo sulla fine del Cav per mano elettorale e su una crescita dell'Udc. Ha sbagliato i conti, capita e Pier è l'unico della compagnia ad avere spessore politico. La sua collocazione naturale è nel centrodestra e lo sa. Con Fini non ha niente da spartire. Il presidente della Camera è un laicista e lui un erede del cattolicesimo democristiano. Due galli nello stesso pollaio sono troppi. 6. Luca Cordero di Montezemolo non è più alla Fiat e senza volante non sa restare. Nega decisamente di voler fare politica e gli crediamo. Non è tipo da campagna elettorale in mezzo alla folla che ti stringe le mani, chiede di baciarti e ti inzuppa la camicia. Ma a una chiamata per «servire il Paese» risponderebbe, eccome. Uscito da Corso Marconi, è seduto di diritto nella panchina delle «riserve della Repubblica». Sta facendo in segreto i suoi giri di campo. Personaggi così eterogenei, senza un copione ben scritto e un regista di grido non possono mettere in scena granché. La loro audience è da Discovery Channel, ci vuol ben altro per battere gli ascolti che da sedici anni fa registrare il Drive In di Berlusconi. Il Comitato di liberazione da Silvio può avere una sola chanche: proporsi come un soggetto che, in caso di crisi provocata dallo showdown con Fini, si presenta davanti al presidente Giorgio Napolitano con in mano il più classico dei papocchi: il governo d'emergenza nazionale. Se si vota, perdono ancora.

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