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L'ultimo caso è l'abbraccio mortale di Repubblica

Da sinistra il leader del Pd Pierluigi Bersani e Romano Prodi

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«L'abbraccio che uccide». No, non è il titolo di un film di Alfred Hitchcock, ma la realtà che hanno vissuto gli esponenti politici che hanno avuto la sfortuna di essere sponsorizzati o sostenuti dal quotidiano Repubblica. Romano Prodi, Walter Veltroni, Dario Franceschini e Gianfranco Fini sono state le vittime illustri delle scelte del quotidiano diretto da Ezio Mauro, che ha sempre puntato sul cavallo sbagliato, provocando una morte politica certa dell'uomo scelto. All'indomani del duello televisivo del 2006 tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi, il vicedirettore di Repubblica Massimo Giannini pubblicò un articolo sulla prima pagina di Repubblica nel quale aveva scritto questo epitaffio contro Berlusconi a vantaggio di Romano Prodi: l'idea politica di «Prodi ha almeno un pregio: guarda al domani con qualche speranza. Non sarà molto, ma è quanto basta, in questo paese stanco e sfiduciato» (15 marzo 2006). Ma la speranza del domani si ferma al pareggio delle elezioni politiche del 2006. Ma il 7 febbraio del 2008 Romano Prodi viene immediatamente bocciato dal partito di Repubblica e dal direttore Ezio Mauro, il quale spiega come Prodi non «ha trovato un'interpretazione dell'Italia capace di parlare al Paese, di portarlo e credere e a scommettere su se stesso. Ha dovuto dichiarare fallimento». Ma il nuovo avanza. Infatti, il 15 ottobre precedente lo stesso Mauro aveva incoronato Walter Veltroni leader del centrosinistra spiegando come quel fatto fosse «un risultato politico straordinario», aggiungendo che «da tutto questo Veltroni riceve una forza del tutto inedita nel mondo politico italiano». Una forza politica così inedita che lo porta nel breve volgere di un mese a perdere le elezioni politiche e a determinare l'effetto politico della sconfitta al comune di Roma. Un autentico tonfo politico inedito. Ma Repubblica non si arrende. E dopo la sconfitta alle elezioni regionali parte anche Veltroni. Infatti, il giorno dopo le dimissioni del segretario del Pd, Ezio Mauro scarica immediatamente Veltroni: «Il problema vero - scrive Mauro il 18 febbraio 2009 - è che non c'è stato un vero pensiero in campo oltre quello della destra». Meglio tardi che mai. Ma per Dario Franceschini si muove niente meno che il padre fondatore Eugenio Scalfari. Per il nuovo leader eletto di straforo nel Pd, Scalfari scrive che «l'assemblea ha scelto l'orgoglio e la speranza», dandogli questo consiglio: «Dovrà servirsi della sua oggettiva debolezza politica per farne una forza». Ma la forza non arriva e il Pd punta su Pierluigi Bersani. Ma il partito di Repubblica si fa forza e, in attesa del fallimento di Bersani, comincia a puntare sul Presidente della Camera Gianfranco Fini. Massimo Giannini lo intervista cinque volte tra il 2006 e il 2007 cercando di sfruttare la contrapposizione con Berlusconi. Il 1° dicembre del 2003 lo stesso Giannini aveva sostenuto che Fini ha la possibilità di «vincere» la successione nel centrodestra contro Berlusconi. Ma Fini va a Montecitorio. E per Giannini «lui (Fini) è la terza carica dello Stato, può svolgere un ruolo prezioso per il premier sul cammino delle riforme». Ma appena tre giorni dopo aver scritto queste parole il Pdl boccia le sue proposte e anche Fini entra nella galleria degli sconfitti di Repubblica.

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