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In Sudamerica lo fanno meglio

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Èuno dei pochi politici della Prima Repubblica che non è entrato nella Seconda. Non ci ha nemmeno pensato. È sparito. Si è intravisto soltanto a un paio di cerimonie per ricordare Bettino Craxi. Rino Formica, esponente del Partito Socialista, più volte ministro, ha pure bandito la nostalgia. Ha 83 anni e non si volta indietro: «Non sono un orologio rotto e guardo sempre al movimento, a ciò che succederà domani. Vengo da una cultura che cerca sempre di capire». Ha le idee chiare ma non dà giudizi: «Non dico mai se la politica attuale è meglio o è peggio di quella che ho vissuto io. Le fasi sono diverse, non si possono fare paragoni, né voglio cadere nel trito e ritrito amarcord che non è mai un approccio formativo». D'accordo Formica ma come ha visto lo scontro tra Berlusconi e Fini alla direzione nazionale? «Di certo non mi scandalizzo. Il partito ideologico ha lasciato il campo a quello carismatico, a concezione aziendale, che ha prodotto questo modello di lotta politica». Dunque le tensioni e gli attacchi violenti sono inevitabili... «Vede, i partiti come l'avevano concepiti i costituenti erano fondati sulla divisibilità del potere mentre adesso si basano sulla sua indivisibilità. Vale per tutti. Non soltanto per il Pdl ma anche per il Pd, l'Udc, l'Italia dei Valori» Andava meglio nel suo Psi? «Non dico mai meglio o peggio. Non ha senso perché a questo punto si potrebbero fare paragoni con tutto: anche con il fascismo o con la monarchia. Il problema piuttosto è che questo mutamento nel modello della politica è avvenuto a Costituzione invariata. Nella direzione nazionale del Pdl è apparso evidente il conflitto tra il sistema proprietario del partito e l'assetto istituzionale del Paese». Ma non le pare strano che questo conflitto sia scoppiato dopo la vittoria del Pdl alle elezioni regionali? Cioè: vincono e litigano? Le sembra normale? «Il problema non è vincere o perdere le elezioni ma l'assenza di armonia, la mancanza di equilibrio, all'interno del Pdl. Se fosse stato Berlusconi ad avere la minoranza si sarebbe rivoltato lui. Nell'assetto dei partiti attuali c'è equilibrio soltanto se tutti stanno zitti e accettano di fare quello che dice il loro leader. Non si può fare altrimenti». E quanto dura? «Finché il capo del partito ha consenso». I vecchi partiti erano molto diversi... «La Dc e il Psi non hanno mai avuto un capo assoluto e, considerando la dialettica interna, nemmeno il Pci. Togliatti non era il padrone assoluto del Pci, come Nenni non lo era del Psi». Questo scenario non la rattrista nemmeno un po'? Insomma, lei è stato ministro delle Finanze con Spadolini, ha criticato il Psi di "nani e ballerine" e non si è mai riciclato... «Sa cosa mi delude veramente? Che oggi tutti i giornali abbiano consumato tanti metri quadrati di carta per descrivere il dito di Fini e la voce di Berlusconi e nessuno ha detto che questo litigio è nato dalla mancanza di regole istituzionali che si adattino ai partiti fondati sul carisma. Da un lato il Paese vive con i princìpi della democrazia parlamentare, dall'altro la dialettica politica è basata sulla democrazia plebiscitaria. O si accettano anche le regole di questo modello di democrazia o non se ne esce». Qualcuno ha delle responsabilità in questo mutamento della politica? «La responsabilità più grande è di tutti questi professori e giornalisti che analizzano la situazione politica. Ma nessuno dice come stanno veramente le cose. Così si finisce per prendere in giro le persone». Mi scusi Formica, ma come si organizza il dissenso nell'epoca della politica-carisma? Cioè che avrebbe dovuto fare Fini? «Dire chiaramente se accetta o no la democrazia plebiscitaria e trarne le conseguenze. Se non l'accetta dovrebbe uscire dal Pdl e tentare lui stesso la strada di Berlusconi. Nel nostro modello di partiti già concedergli il 6 per cento del Pdl è un atto di clemenza». Insomma secondo lei il presidente della Camera doveva stare zitto e incassare? «Capisco che nel Pdl non è semplice sopportare il potere dispotico e proprietario di Berlusconi. E Fini è credibile quando afferma che tanti non lo dicono in pubblico ma si lamentano in privato. D'accordo. Ma la sua manifestazione d'insopportabilità non ha senso. Fini non può chiedere i diritti della democrazia plebiscitaria e al tempo stesso le tutele della democrazia parlamentare». Ma carisma e istituzioni possono coesistere? «Nella Chiesa. Ma solo perché ha inventato una serie di correnti dialettiche, che sono gli ordini religiosi, che mantengono l'equilibrio tra istituzioni e carisma. Noi invece abbiamo un assetto che non prevede il carisma assoluto e non poteva essere altrimenti visto che i padri costituenti arrivarono dopo il fascismo ma, allo stesso tempo, abbiamo un modello di politica da stato sudamericano».

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