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Macché Conciliazione, è via della Rissa

Direzione del Pdl, gli abruzzesi Pelino e Chiodi

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Galeotta fu la location. Via della Conciliazione. Macché? Via della Rissa dovrebbero chiamarla. E non se ne abbiano Er Puzzone e Pio XI. Eppure, sotto il sole di Roma capoccia, tra il via vai dei turisti, non pareva una giornataccia. Sicché ad Alessandra Mussolini, la nipote del Duce, non veniva poi tanto male la battuta, prima di infilarsi volitiva nell'Auditorium: «A via della Conciliazione si conciliano tutti». E invece. Non passano quattro ore che le si stringono gli occhioni, la bocca extralarge si serra. Fini ha consumato lo strappo, Berlusconi l'ha artigliato e gli ex An vagano sgomenti da un bar all'altro, fanno mesti capannelli, si sforzano di «fare futuro». Eppure un po' di festa c'è, all'inizio. Per Galan neoministro una scolaresca veneta in gita fa la ola appena lo vede scendere dall'auto blu. Beatrice Lorenzin si schernisce al flash del paparazzo. Ma s'infila agile, borsa e scarpette rosse, nel portone dove si consuma il duello. Anche il pio Formigoni va in brodo di giuggiole perché lo fotografano sullo sfondo del cupolone. Ma sono sorrisi rari. Già serpeggia la tensione. «Coabitazione? Una brutta parola», glissa Mattioli a chi prefigura il domani senza ardore di Gianfranco e Silvio. E Nania sibila: «La Lega prende voti perché glieli regaliamo. Quanti ce ne toglie dopo le esternazioni di Bocchino sul primo ministro gay?». Le schermaglie si fanno gioco duro presto, dentro. Roberto Gasparrotti, l'uomo-immagine del premier, se la prende con Enrico Para, il fotografo sempre al seguito del presidente della Camera. Gli vieta l'ingresso in sala urlando: «Sei uguale a tutti». E lo prende al collo, e lo strattona fuori. La sala stampa è un budello, un accampamento che registra i fendenti. Parla Verdini, parla Bondi, La Russa conclude il tris dei coordinatori. Sbotta una risata al lapsus del ministro della Difesa. «Per ripianare i debiti del comune di Catania abbiamo dovuto violentare Veltroni», equivoca. E poi si corregge: «Abbiamo dovuto violentare Tremonti». Ma già si sciama fuori, a fumare sigarette, a ordire trame. Potito Salatto, al tavolino del bar con Donato Lamorte, sentenzia «Mo' sono solo finiano». Gramazio sparge boutade, Flavia Perina prende sotto braccio Renato Farina, confabula, gli chiede con quale titolo deve aprire. E si sfoga: «Di 22 interventi che abbiamo chiesto alla direzione nazionale ce ne danno solo due». Non è mezzogiorno e già arriva il furgone del catering Relais Le Jardin, scarica il buffet dal portone laterale dell'Auditorium. Così in sala stampa i maccheroni al sugo arrivano proprio appena attacca a parlare Fini e c'è l'assalto al piatto caldo. Diamine, nessun rispetto per la terza carica dello Stato. La telecamera altalena sempre uguale tra Fini e il pubblico, svela impietosa Lamberto Dini che sonnecchia. Poi indugia sui gesti. Silvio alza il pollice nervoso, scalpita per interropere le legnate di Gianfranco. Ecco, arriva il climax, premier e presidente della Camera se le cantano e allora la regia politicamente corretta è travolta dagli eventi e cambia stile. Adotta i contropiani, insegue chi parla, quasi asseconda con l'immagine il parapiglia. Finisce il collegamento, si sciama di nuovo fuori. I finiani sono lividi, gli altri non sanno che pesci pigliare. Alemanno alle 14,30 se ne va. «É una rottura aspra, ma i problemi li conosco, non solo tali da sfasciare il Pdl», commenta scuro. C'è chi affonda il coltello nella piaga. «Quando un leader come Gianfranco dice: magari mi fischierete, che leader è più», commenta il senatore Mantica. L'onorevole Carla Castellani fuma nervosa. «È la prima sigaretta dopo un anno e mezzo. Faccio politica da quindici anni, prima il Msi, poi An, poi Pdl. Ci deve essere discussione, ma senza spaccature. Sentiamo tutti disagio per questa lacerazione. Fini è un grande politico ma quando è nato il Pdl doveva sapere che Berlusconi è così, prendere o lasciare. Se c'è davvero spaccatura purtroppo lo seguiranno in pochi». L'attesa del documento finale è uno sfinimento per tutti. Si consola Alessandra Mussolini: «Almeno siamo il primo partito che ha fatto operazione trasparenza. Mai nessuno si è detto fino in fondo le cose come Fini e Berlusconi». Magra consolazione.  

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