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Un'uscita di scena storica preparata con cura maniacale

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La sorpresa sta nei tempi: l'uscita di scena di Luca di Montezemolo, un giorno prima l'annuncio del piano della Fiat che verrà, è un coup de theatre di quelli che avrebbero divertito l'Avvocato. Ma è un distacco preparato con cura maniacale, come si conviene nella Real Casa alla vigilia dell'investitura del delfino: ormai John Philip Elkann, a detta del clan Agnelli, è maturo per assumere la presidenza di Fiat e dell'Accomandita di famiglia, occupando le poltrone affidate in questi anni allo stesso Montezemolo e a Gianluigi Gabetti. Eppure, si tratta comunque di un passaggio di consegne storico, che suscita più di una domanda cui, forse, oggi risponderà Sergio Marchionne illustrando i piani Fiat di qui al 2012. E il primo quesito, naturalmente, riguarda il passaporto del gruppo: la Fiat, almeno quella a quattro ruote, resterà italiana? Un interrogativo del genere non avrebbe avuto, fino a pochi anni fa, senso alcuno. La Fiat di Gianni ed Umberto, quella in cui Luca di Montezemolo mosse i primi passi organizzando nel '76 la campagna elettorale "all'americana" per il futuro senatore Umberto, era una grande realtà nel panorama politico del Bel Paese.  Certo, buona parte della produzione finiva all'export, ma la prima preoccupazione era vigilare sui rapporti con le forze sindacali e con la politica, vitale punto di riferimento (e di sostegno) per un'azienda che, anno dopo anno, spostava il suo baricentro verso Sud. Oggi quella Fiat non esiste più. Stamane Sergio Marchionne, amministratore Fiat in Italia, ceo di Chrysler a Detroit, rivelerà al mercato i tempi dello spin-off, vedi della separazione, di Fiat Auto dal resto del corpo del Lingotto. A questa mossa, accompagnata probabilmente dalla promozione dello stesso Marchionne a presidente di Fiat Auto, seguiranno le prossime nozze con Chrysler: lo stesso Marchionne, del resto, ha già promesso che la Fiat riuscirà, anticipando le tappe concordate con Obama, a salire al 35 per cento di Chrysler entro il 2011. Sono bastate queste indiscrezioni a far decollare il titolo Fiat, che ieri ha messo a segno un rialzo del 9 per cento dopo scambi tre volte superiori alla media. Ma è solo l'antipasto di quel che potrebbe accadere se oggi l'ad Fiat non smentirà l'ipotesi di un'alleanza a tre con l'indiana Tata che, tra l'altro, controlla due marchi del calibro di Jaguar e Land Rover. Insomma, presto la "piccola" Fiat, che secondo Marchionne sarà comunque in grado di vendere 2,7 milioni di vetture nel 2012 (contro i due milioni di quest'anno) si accoppierà con Chrysler, che di macchine ne dovrebbe vendere qualcuna in più (2,8 milioni secondo Marchionne) e, magari, con qualcun altro. Ma chi comanderà? Il gruppo Exor, capitanato da John Elkann, resterà in ogni caso in buona posizione, assicurano da Torino, garantendo ad un'eventuale alleanza mezzi finanziari freschi. Ma, come si è già visto in occasione dell'interesse della finanziaria per Banca Fideuram, la famiglia non intende affidare il suo futuro solo o soprattutto all'auto. Per giunta, dietro Chrysler ci sono le azioni controllate dal sindacato Usa e quelle che direttamente o meno, fanno capo alla stessa amministrazione di Washington: davvero, dopo aver garantito i capitali necessari per la ripresa, i partner americani si affideranno ad un azionista che viene da Torino? Non ci vuol molto a capire che il futuro del gruppo, al di là delle dichiarazioni ufficiali, sarà italiano solo a metà, se tutto va bene. Il che non è di per sé un dramma: per competere in un campionato sempre più difficile, dove si stringono per necessità tecnologiche e finanziarie alleanze quasi impensabili fino a ieri (Renault-Daimler che, a detta di Marchionne, sarà presto seguita da Bmw-Peugeot), non si può chiedere alla Fiat una visione troppo domestica del business dell'auto, globale per definizione. Semmai, qualche curiosità in più la solleva il futuro del gruppo nell'era Elkann. L'erede dell'impero, promosso da Gabetti e Montezemolo, affronta ora la prova del fuoco: la sua Fiat non potrà essere la conglomerata industriale che fu ai tempi di Cesare Romiti e dell'Avvocato, quando non si muoveva affare in Italia, dalle telecomunicazioni alla moda o all'alimentare senza che non ci fosse lo zampino di "quelli di Torino". Ma non potrà rassegnarsi, pena un declassamento ingeneroso, ad essere solo una finanziaria di partecipazioni, rassegnata a perder peso nello scacchiere dell'economia reale. O ad amministrare la sola Iveco (camion) o Cnh (macchine movimento terra e per l'agricoltura). La vera sfida di Elkann consiste nel saper traghettare la Fiat verso l'economia della conoscenza, con un massiccio investimento in brevetti e cervelli. Non sarà facile. Ma nemmeno la missione di Montezemolo, cui nel 2004 finì tra capo e collo la holding sull'orlo del baratro, è stata facile. E lui, assieme a Marchionne, l'ha assolta in maniera egregia. E chissà se è sincero quando nega ambizioni per la politica.

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