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Sfrecciavanoper la città ondeggiando in mezzo al traffico, ben oltre i limiti consentiti. Eppure nessuno ha sentito l'impellente esigenza di intervenire. Se non «dopo». È accaduto con i parti-killer, dove la gioia di dare alla luce un figlio coincideva col dramma della morte. E anche lì sono scattati «immediati» i controlli sulla regolarità delle strutture e sulle modalità d'intervento. Dopo. A leggere l'intervista al professor Ortolani, geologo dell'Università di Napoli, viene da urlare per la rabbia. Quella che esplode nei cuori dei parenti delle vittime di cui è lastricata la strada dell'incuria e dell'inefficienza. Peggio: dell'indifferenza, ancor più devastante se «istituzionale». Come si è potuto affermare che quel tratto di spiaggia fosse sicuro? È fatto di tufo, come gran parte delle isole pontine. Un materiale che in Italia conosciamo (o dovremmo conoscere) bene. La sua stabilità cambia di anno in anno, c'è bisogno di un monitoraggio costante. Lo sapevano tutti, tranne chi doveva prendere la decisione di mettere tutto in sicurezza. Non solo il sindaco, ma tutti i livelli superiori, a partire dalla Regione che ha ancora in cassa parte dei fondi stanziati dal Ministero dopo l'alluvione di qualche anno fa per finire ai parlamentari, che di soldi ne hanno stanziati sempre troppo pochi per poter dare una risposta organica e funzionale ai problemi della costa. Il fatto che quest'ultima rappresenti il punto di forza dell'intera Nazione, che la caratterizzi sia in termini di turismo sia in termini di posizione strategica nel Mediterraneo, evidentemente non è abbastanza. La verità è che siamo un Paese troppo abituato a gestire le emergenze da dimenticare l'ordinaria amministrazione. Quella che dovrebbe accompagnare la vita di tutti i giorni, quella che - quando il destino si ribella al lassismo imperante - accompgna invece verso l'ultimo viaggio. La Commissione ambiente del Senato sta discutendo proprio in questi giorni la legge sul monitoraggio delle coste, ed in particolare una legge per le Isole minori, per fornire fondi e supporto alle amministrazioni locali nel gestire i territori, anche e soprattutto in termini di sicurezza. Sembra scientifico: ogni volta che accade una tragedia l'agenda dei parlamentari improvvisamente si apre su quel tema. Se solo riuscissero a sincronizzare meglio i tempi... Certo non potremo sconfiggere il dolore, né tantomeno la morte; ma potremmo ragionevolmente abbassare di molto l'incidenza dei «perché» senza risposta, che sono quelli che più stropicciano l'anima di chi deve cercare di darsi pace. Su questo versante Il Tempo ha deciso di non fermarsi alle lacrime. Compito di un giornale è e deve essere quello di registrare i fatti, ma anche quello di dare sostanza alle parole. E allora sarà nostro impegno verificare che le promesse fatte dal mondo politico sull'onda delle emozioni non cadano nel dimenticatoio; avremo cura di controllare che l'inevitabile sequenza di problemi che si accavallano nello scorrere della vita sociale di un Paese non soffochi le aspettative di territori il cui fine ultimo è quello di essere sempre più vivibili. Ai problemi resi tali solo dalla tragica conseguenza di fatalità devono seguire atti concreti, investimenti a medio e lungo termine. Non ci stancheremo di osservare, di guardare, di controllare. Siamo coscienti che l'utopia della «città perfetta» di Tommaso Moro o quella della «città del Sole» di Tommaso Campanella non sono applicabili al mondo contemporaneo, avviluppato nei suoi limiti; ma il Belpaese non può e non deve essere solo uno slogan per le Borse internazionali del turismo. Lo dobbiamo a chi è vivo e vuole crescere in questa Italia. Lo dobbiamo, a maggior ragione, a chi non c'è più. Angelo Perfetti

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